L’analisi di Climate Analytics sul Patto di Dubai
(Rinnovabili.it) – L’obiettivo di non sforare la soglia di 1,5°C è davvero al centro e dovrà essere preso come punto di riferimento su cui calibrare l’azione climatica globale. Ma molto, forse troppo, è lasciato all’interpretazione degli Stati. Il Patto di Dubai porta con sé una serie di scappatoie che potrebbero portarci sulla traiettoria sbagliata.
È la valutazione di Climate Analytics sull’esito della COP28 di Dubai, e in particolare sul testo della prima Global Stocktake in cui sono contenuti i paletti più importanti per impostare la transizione nel resto di questo decennio. La prima e anche la più importante, visto che il processo di revisione degli sforzi globali per contenere il riscaldamento globale, previsto dall’Accordo di Parigi, si svolge ogni 5 anni. La prossima volta sarà già troppo tardi per correggere la rotta.
Leggi anche COP28: decisa la “transizione via dai combustibili fossili”
Le scappatoie nel Patto di Dubai
Il punto più critico, secondo Climate Analytics, sarà l’interpretazione di due sole parole: “sistemi energetici”. Il Patto di Dubai ha sancito l’impegno corale dei 200 paesi che partecipano al processo dei negoziati sul clima ad avviare la “transizione dai combustibili fossili nei sistemi energetici”. Cosa significa?
Cosa significa sistemi energetici?
Mentre molti osservatori si sono concentrati sulla scelta della parola “transizione”, preferita alle alternative discusse per due settimane (il phase out e il phase down), Climate Analytics sostiene che la portata dell’accordo raggiunto alla COP28 si gioca in gran parte su ciò che viene subito dopo quelle parole.
Una scelta che “può stabilire una direzione forte e chiara a lungo termine, se interpretato correttamente”, scrive l’istituto basato a Berlino. Il sistema energetico, infatti, in linea teorica include sia il lato supply che il lato demand, quindi fornitura e uso di energia. Non riguarda solo l’industria ma anche, ad esempio, i trasporti. “Tutte le emissioni di questo sistema dovranno scendere sostanzialmente a zero per raggiungere questo obiettivo”, scrive l’istituto, notando che le rimozioni di CO2 grazie agli ecosistemi non possono in alcun modo rientrare nella definizione di sistemi energetici e “quindi non possono essere utilizzati per raggiungere questo obiettivo”.
Ma il concetto di sistemi energetici, avverte Climate Analytics, potrebbe essere “intenzionalmente frainteso”. Come? Alcuni Stati potrebbero sostenere che non copre il lato della fornitura ma solo quello degli usi. È più che una semplice possibilità: sono molti i paesi che durante la COP28 si sono opposti a mettere riferimenti chiari al lato supply nel testo del Patto di Dubai. “Qualsiasi tentativo di restringere la portata del sistema energetico sarebbe incoerente con la limitazione del riscaldamento a 1,5°C”, avverte Climate Analytics.
CCS e carbone
Poi c’è il capitolo CCS. L’accordo riconosce un ruolo nella transizione alla cattura e stoccaggio di CO2, ma la scienza del clima è chiara sul fatto che la CCS non può essere impiegata su larga scala nella decarbonizzazione dei sistemi energetici, negli scenari compatibili con 1,5 gradi. Sul carbone, la COP28 non ha fissato alcuna data, mentre le previsioni più accurate sostengono che bisogna spegnere tutte le centrali a carbone entro il 2040.
Il ruolo del gas fossile
E infine c’è il famigerato paragrafo 29, dove si riconosce un ruolo ai “combustibili di transizione”. Una locuzione che apre la porta, pur senza nominarlo, al gas fossile. Non a caso è stata fortemente voluta dalla Russia, uno dei massimi produttori mondiali. Ma il paragrafo in realtà fa comodo a molti paesi. Secondo lo scenario per net zero al 2050 elaborato dall’IEA, la quota del gas nel sistema energetico globale deve diminuire gradualmente, non aumentare. In questo decennio a un tasso del 2% annuo, e dal 2030 in poi a un ritmo del 6% annuo.
“I tentativi di utilizzare questo paragrafo da parte dei paesi per giustificare l’espansione della produzione di gas non sarebbero coerenti con la limitazione del riscaldamento a 1,5°C e non sarebbero necessari per proteggere la sicurezza energetica, dato il potenziale delle energie rinnovabili di crescere rapidamente e il rapido calo dei costi di stoccaggio e di altre tecnologie”, suggerisce Climate Analytics.