di Andrea Masullo
Chi pensa che il sistema economico, nella fase attuale di parossismo consumista post-pandemico sia riformabile, è purtroppo smentito da ciò che sta accadendo in questi mesi che hanno seguito la conferenza sul clima di Glasgow (COP26).
In particolare, mi riferisco alla scelta dell’Unione Europea di inserire il nucleare nella lista delle tecnologie sulle quali indirizzare gli investimenti green; ciò include anche gli ingenti capitali stanziati per il Next Generation Plan, e teoricamente potrebbe interessare anche gli investimenti del nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Quindi se un risparmiatore chiederà al proprio consulente finanziario di investire sulle energie green, non saprà se i suoi soldi finanzieranno impianti fotovoltaici oppure qualche progetto nucleare, magari pochi chilometri al di fuori dei nostri confini nazionali.
Le difficoltà e le contraddizioni emerse nella COP26 nel definire gli obiettivi di uscita dalle fonti fossili sono state subito colte al volo dal settore nucleare, un settore in profonda crisi a livello mondiale, che ha scatenato un’ampia controffensiva politica e mediatica. L’aumento dei prezzi dell’energia è stato un booster potentissimo di questa controffensiva, colto subito al volo da parti politiche avvezze alla cattura di facili consensi fondati su fake news. Proviamo a spiegare la falsità delle motivazioni portate dai sostenitori di questa scelta.
La centrale termonucleare è solo un elemento di un lungo processo che va analizzato attraverso una classica life cycle analysis:
Upstream: costruzione della centrale, produzione e fornitura dei materiali necessari;
Funzionamento della centrale: estrazione dell’uranio, raffinazione, arricchimento degli isotopi utili, produzione delle barre di combustibile, produzione di elettricità, stoccaggio provvisorio del combustibile esaurito, riprocessamento, gestione della sicurezza;
Downstream: smantellamento della centrale, gestione delle scorie.
I sostenitori di tale scelta, nelle loro valutazioni, trascurano la maggior parte delle attività elencate e si riferiscono quasi esclusivamente al funzionamento della centrale. Le emissioni e i costi delle altre operazioni dell’upstream vengono ampiamente sottostimate, mentre quelle del downstream, essendoci pochissimi casi di smantellamento a fine vita e assenza disoluzioni consolidate e definitive per la gestione dei rifiuti radioattivi, vengono sostanzialmente ignorate.
I sostenitori di un ritorno del nucleare tendono a minimizzare il problema delle scorie riferendosi solo al loro limitato volume. Per la presenza di elementi con radioattività elevatissima e con il più alto peso specifico di tutta la tavola di Mendeleev, il volume è un fattore assai poco rilevante; le scorie nucleari, infatti, per la loro pericolosità, vanno conservate in luoghi sicuri e controllati per centinaia di anni e per i materiali contenenti Plutonio ed altri elementi transuranici (prodotti dall’uomo e non esistenti in natura) per decine di migliaia di anni. Per dare un’idea della gravità del problema ricordiamo che la civiltà umana data circa 11.000 anni; l’enormità del problema creato è confermata dal fatto che, a 60 anni dallo sviluppo industriale delle centrali nucleari, non c’è ancora una soluzione provata e consolidata.
Un altro aspetto sottostimato scaturisce dal considerare l’estrazione dell’uranio alle condizioni attuali, in cui sono disponibili miniere ad alto tenore e a bassa profondità. Oggi l’energia nucleare contribuisce per circa il 10% alla produzione mondiale di elettricità, che a sua volta rappresenta circa il 20% dei consumi finali di energia, costituiti per l’80% da energia termica; quindi, il nucleare dà un contributo complessivo agli usi finali di energia di circa il 2%. Per dare un contributo significativo alla sostituzione dei combustibili fossili dovrebbe crescere significativamente.
In uno studio di Manfred Lenzen (Lenzen et alii, Life-Cycle Energy Balance and Greenhouse Gas Emissions of Nuclear Energy, Sidney University, 2006) si evidenzia come le emissioni di gas serra relative al kWhel nucleare siano fortemente influenzate dal tenore di uranio delle miniere, che determina la quantità di energia fossile necessaria alla produzione delle barre di combustibile che alimentano le centrali; e quindi le relative emissioni di gas serra. Nella tabella seguente tratta dallo studio citato sopra si riporta il confronto fra le varie fonti energetiche.
Dalla tabella si vede come la quantità di gas serra emessi per la produzione di un kWhel nucleare nel 2006 era il triplo dell’eolico, quadruplo dell’idroelettrico e inferiore al fotovoltaico; è importante sottolineare che nel frattempo l’innovazione tecnologica del settore fotovoltaico ha portato a un forte aumento dell’efficienza e quindi già oggi le emissioni del kWhel prodotto dalle migliori tecnologie, che presentano rendimenti superiori al 40% e minor utilizzo di materiali, sono inferiori a quelle del nucleare.
Ipotizzando una crescita della produzione di energia nucleare del 4% annuo, le emissioni di gas serra del kWhel nucleare triplicheranno entro il 2050 a causa della necessità di approvvigionarsi da miniere a minor tenore di uranio. (Ethan S. Warner and Garvin A. Heath Life, Cycle Greenhouse Gas Emissions of Nuclear Electricity Generation: Systematic Review and Harmonization, in Industrial Ecology, 17/04/2012). Dal momento che le emissioni di gas serra di eolico e fotovoltaico non dipendono dalla fonte primaria (il vento e il sole) ma esclusivamente dalle tecniche di realizzazione degli impianti, esse non potranno che migliorare. In particolare, per l’utilizzo del fotovoltaico giocheranno un ruolo importante i nuovi materiali già in corso di avanzata sperimentazione.
La IV generazione nucleare
Una grande pubblicità si sta facendo riguardo alla IV generazione di reattori nucleari, definendoli puliti, economici e intrinsecamente sicuri. Nonostante gli enormi sforzi fatti negli ultimi trent’anni da alcuni governi mondiali per finanziare la ricerca in tal senso, per rivitalizzare un settore nucleare drammaticamente in declino, i vantaggi dichiarati con grande enfasi in questi giorni, hanno il gusto amaro di un colossale green washing, offrendo al pubblico un’immagine di qualcosa di già provato e concreto, che possa offrire da subito la soluzione tanto agognata di energia pulita, abbondante, poco costosa e già realizzabile.
Purtroppo, così non è; attualmente si tratta solo di ipotesi di lavoro, basate su interessanti e lunghi processi di ricerca, che stanno convergendo su alcuni prototipi di realizzazione in base ai quali sarà possibile valutare il soddisfacimento delle promesse. Dal momento che le prime tre generazioni di reattori, negli ultimi 60 anni non hanno dato risposte convincenti su nessuno dei problemi rimasti aperti, lasciando in eredità a noi ed alle generazioni future costi incogniti e comunque elevatissimi, mi sembra assai imprudente e prematuro dare tanto credito a queste nuove promesse. Per esser più espliciti, le diverse ipotesi allo studio nella cosiddetta IV generazione di reattori nucleari, non sono esenti dall’utilizzo di isotopi altamente radioattivi del Torio, dell’Uranio e del Plutonio, per cui chi sta conducendo tali ricerche, prima di lanciare operazioni di propaganda, dovrebbe responsabilmente presentare rapporti chiari e scientificamente provati su: sicurezza, impatto ambientale dell’upstream, del funzionamento ordinario della centrale e del downstream ed una valutazione reale dei costi delle suddette fasi. Senza questo non ha senso parlarne come soluzione per abbassare il costo dell’energia e mitigare un problema reale, concreto, drammatico ed attuale come i cambiamenti climatici.
Per questo è irresponsabile la propaganda che ne stanno facendo alcune forze politiche su valutazioni economiche false in quanto non confortate da dati oggettivi. Quei governi che da 60 anni versano fiumi di denaro pubblico su un settore che non ha prodotto i risultati promessi, dovrebbero spiegare in base a quali valutazioni sono invece così avari nel finanziare la ricerca sulle nuove tecnologie per le energie rinnovabili, le più abbondanti, sicure ed eterne, e sono altrettanto assidui nell’ostacolarne la diffusione.
Anche il nostro governo dovrebbe ben valutare ad orientare il proprio impegno economico verso le tecnologie più promettenti: per i prossimi decenni le energie rinnovabili e nel lungo termine, in campo nucleare, la fusione che potrebbe costituire solo nell’ultimo quarto di secolo una importante opzione.
In conclusione possiamo affermare che:
- Non ci sono dati per sostenere che la scelta nucleare possa abbassare il costo del kWhel, anzi ci sono fondati motivi per ritenere che lo renderà sempre più costoso;
- Investimenti nella IV generazione di reattori presentano attualmente troppi rischi finanziari;
- La scelta nucleare probabilmente ridurrà moderatamente le emissioni di CO2 nei primi 25-30 anni di funzionamento delle nuove centrali, per poi tornare ad aumentarle nella stessa misura delle fonti fossili negli ultimi 25-30 anni di funzionamento;
- La mancanza di una soluzione provata e praticabile per lo stoccaggio definitivo delle scorie la rende assolutamente insostenibile;
- I rischi di una forte espansione necessaria a dare un contributo significativo ai consumi mondiali di energia permangono molto elevati e sono destinati a crescere con il numero di siti che verranno impegnati e di popolazione che ne sarebbe affetta;
- I tempi di realizzazione del numero di nuove centrali necessarie non è compatibile con gli obiettivi di mitigazione, né al 2030 né al 2050.
di Andrea Masullo, Direttore scientifico di Greenaccord