Per il Nobel per la fisica converrebbe spendere sugli accumuli piuttosto che lavorare per il nucleare che “non concorrerebbe alla diminuzione del prezzo finale dell'energia”

“Qualcuno pensa – non so come – che il nucleare possa essere una fonte alternativa da attaccare alle rinnovabili. Sfortunatamente no, non è così”. Giorgio Parisi, Nobel per la Fisica, in Parlamento per il ciclo di audizioni sul ritorno dell’energia atomica nel quadro delle misure di decarbonizzazione, fa saltare quello che è diventato il mantra dei neo-nuclearisti.
Il leit motiv infatti recita: bene le rinnovabili, belle, simpatiche, ma da sole non bastano per via della loro parziale programmabilità che inevitabilmente richiede un carico di base della rete per stabilizzarla, o come minimo degli accumuli che assolvano le stesse funzioni. Parisi non gira attorno alla faccenda e dà la sua versione.
“Il nucleare ha una flessibilità estremamente bassa, una centrale nucleare è costretta a produrre la stessa quantità di energia di giorno e di notte”, spiega il Nobel alle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera. “Il difetto dei pannelli fotovoltaici è che producono di giorno e non di notte” ma “il nucleare non risolve questo problema che avremo in futuro, anche se un futuro non così vicino”.
In tutto ciò quella che è considerata una soluzione tecnologica utile ma economicamente impegnativa vede i prezzi in discesa. “Il costo degli accumulatori è enormemente diminuito”, spiega Parisi. Non è solo questa una soluzione alternativa al nucleare, perché se ad esempio “ci fosse un eccesso a metà giornata, si potrebbe usare per produrre gas come l’idrogeno”, in un assetto power-to-gas.
Soprattutto, però, stigmatizza il Premio Nobel per la Fisica, “l’opzione nucleare va valutata quando la tecnologia sarà disponibile, ora è solo su carta”. Quella che si sta testando ha ancora i suoi problemi. Ad esempio il nucleare di IV Generazione “è importante ma non ha nessun prototipo funzionante su grande scala, ed è l’evoluzione del Super-Phénix in Francia, che dopo essere stato costruito ha avuto svariati incidenti per troppi anni ed è stato chiuso”, ricorda Parisi a chi abbia seguito l’epopea del super reattore al plutonio che generava da solo il suo combustibile ed ebbe grandissimi problemi e diversi incidenti tra il 1974 e il 1997.
“La IV Generazione è interessante ma ha un grande problema, sono impianti raffreddati a metalli a 500 gradi, e con un ambiente pieno di neutroni e ad alta temperatura c’è un problema di corrosione dei tubi idraulici, non è detto funzioni, infatti il Super-Phénix è andato male”, ricorda Parisi. “E’ però interessante avere un occhio sul futuro, fare un investimento ora è azzardato perché ci sono moltissime altre cose su cui possiamo fare investimenti, come sul risparmio energetico, e farlo in modo più efficiente di come fatto in passato”.
Oltre al rischio c’è il costo a raffreddare gli entusiasmi nuclearisti. “Al momento i costi del solare sono decisamente inferiori a quelli delle altre fonti” e c’è “un fattore 2-3 tra solare e nucleare”, con “i costi del solare che stanno calando del 10% ogni anno”, rileva il premio Nobel per la fisica.
E dove mettiamo i pannelli? “Ci sono enormi spazi liberi nelle città dove installare il solare, in tantissimi posti nelle campagne tramite l’agrivoltaico che in Italia non è portato avanti”, valuta Parisi. In tutto ciò “il costo dei pannelli cala mentre quello del nucleare è aumentato anche a causa delle associate necessità di sicurezza”, ricordando i “tantissimi problemi che non si possono risolvere”. Ad esempio “si parla di deposito ma non solo non sono riusciti a farlo, nemmeno sono stati in grado di decidere dove farlo“.
Costi competitivi anche quando si va ad affrontare la vexata quaestio della parziale programmabilità delle rinnovabili. Ad esempio gli accumuli, ritenuti da più parti ancora troppo costosi. “Il costo degli accumulatori è enormemente diminuito”, avverte implacabile Parisi. L’eccesso di elettricità da stoccare “si potrebbe usare per produrre gas” come l’idrogeno, suggerisce il Premio Nobel per la Fisica, però “il miglior accumulatore sono i pompaggi, ma dobbiamo migliorarne efficienza e capacità”.
Che cosa possiamo fare ora? “L’Italia deve investire nel geotermico, nelle smart grid, nell’aggiornamento delle turbine elettriche che negli accumuli idrici lavorano alla Penelope portando su l’acqua di giorno e giù di notte. E deve approntare una normativa per facilitare l’installazione del solare”, suggerisce Parisi. “La solarizzazione dell’Italia va accompagnata da investimenti, nelle smart grid e negli impianti idroelettrici”, mentre servono “naturalmente anche misure legislative di semplificazione dell’installazione del solare”.
Parisi non è stato l’unico fisico a relazionare alle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera sul nucleare, è stato ascoltato anche Federico Maria Butera, professore emerito di Fisica tecnica ambientale del Politecnico di Milano, e non è che sia andata diversamente. La revanche nuclearista italiana attira critiche ben dettagliate. Quelle di Butera ad esempio sono nette: “Tutto sommato per questo modo di funzionare che punta a compensare le mancanze di produzione delle rinnovabili, il costo del chiloWattora nucleare è più alto di quello delle rinnovabili con accumulo. Probabilmente converrebbe spendere sugli accumuli piuttosto che spendere e lavorare per il nucleare, che non concorrerebbe alla diminuzione del prezzo finale dell’energia, che è il risultato che si vuole ottenere”.
Affrontando il tema della “integrazione nucleare nel sistema delle rinnovabili in termini soprattutto di costo” va considerato che “il kWh nucleare costa più di quello rinnovabile, ma è un confronto fuorviante perché i costi del nucleare valgono per un numero di ore all’anno, il capacity factor, rispetto a quello in cui potrebbe effettivamente funzionare”, spiega Butera.
E allora, “paragonare una fonte programmabile come il nucleare con una non programmabile come le rinnovabili non ha molto senso. Il numero delle ore di funzionamento è importante, il capacity factor appunto, e man mano che le ore di funzionamento diminuiscono aumenta enormemente il costo del kWh prodotto, questo perché il costo in termini di investimento del nucleare sono molto grandi, e se non va a tavoletta costa sempre di più”.
In questa dimensione di funzionamento “la gamma dei costi del nucleare varia in maniera straordinaria in funzione del capacity factor”, spiega il docente del PoliMi, “se è elevato il costo è basso, se l’impianto funziona poche ore e a potenze limitate il costo è alto”. Dunque, “se deve sopperire alle rinnovabili e fornire solo la differenza di potenza che manca alla rete, il capacity factor del nucleare è sempre basso e quindi si sta sempre nella fascia alta dei costi”.
Invece, “il fotovoltaico a terra, quello detto utility scale, unito a sistemi di accumulo a batterie, è paragonabile a una fonte stabile, ha un intervallo di costi molto contenuto e il massimo costo del fotovoltaico con accumulo è inferiore al minimo costo nucleare”, segnala Butera.
Non se ne esce nemmeno se si immagina un paragone piuttosto estremo, una CCGT alimentata a idrogeno, oggi ancora sorta di Chanel N.5 dei combustibili puliti. “Con il nucleare, al diminuire delle ore di funzionamento o della potenza aumenta enormemente il costo- ribadisce il docente- e se confrontato con altre tecnologie, ad esempio una Centrale termoelettrica a ciclo combinato gas alimentata a idrogeno, per valori bassi della produttività, del capacity factor, addirittura costa meno rispetto al nucleare”.