La riforma dell’Effort Sharing Regulation del 2022 fissa target nazionali di tagli alle emissioni nei settori non coperti dall’ETS. L’Italia mancherà il suo obiettivo del 7,7%. E dovrà accedere al meccanismo di flessibilità acquistando crediti di carbonio dai paesi virtuosi. Il conto? 15,5 miliardi di euro
Con il nuovo ESR, gli obiettivi clima 2030 dell’Italia sono fissati a -43,7% sui livelli del 2005
Le politiche di riduzione delle emissioni dell’Italia sono insufficienti e rischiano di costarci 15,5 miliardi di euro. Cifra che Roma potrebbe dover sborsare tra 6 anni, se non avrà rispettato i target nazionali previsti dalla riforma dell’Effort Sharing Regulation (ESR). Insieme al Belpaese, altri 11 paesi UE sono sulla traiettoria sbagliata e, ad oggi, non raggiungeranno gli obiettivi sul clima al 2030 fissati in sede europea. Con la Germania, l’Italia è di gran lunga la peggiore.
Effort Sharing Regulation, i target per l’Italia
Nel 2021, la Commissione UE ha avviato una riforma dell’Effort Sharing Regulation (ESR) nel contesto del pacchetto legislativo Fit for 55. L’accordo finale tra Parlamento UE e Consiglio, raggiunto a novembre 2022, alza gli obiettivi sul clima al 2030 per ciascun paese UE e quello comunitario rispetto a tutti i settori che non ricadono nel sistema ETS. Si tratta quindi delle emissioni generate da edifici, trasporti su strada e via mare, agricoltura, rifiuti e piccole industrie, che rappresentano circa il 60% dei gas serra UE.
L’obiettivo comunitario è passato dal -30% al -40% rispetto ai livelli del 2005 mentre i diversi target nazionali – diversificati per tenere conto delle specificità di ciascuno stato membro – sono stati quasi tutti ritoccati al rialzo. In questo contesto, l’Italia è chiamata a tagliare le emissioni ESR del 43,7%.
Durante i negoziati sulla riforma è stata introdotta una misura di flessibilità, ovvero la possibilità per gli stati di scambiare quote di emissioni. Per far quadrare i conti, chi non è riuscito a ridurre i gas serra centrando l’obiettivo ESR dovrà acquistare dei crediti dai paesi che hanno ridotto le emissioni oltre il target assegnato.
Obiettivi clima al 2030, l’Italia li mancherà del 7,7%
Ed è proprio questa clausola di flessibilità che potrebbe costare più di 15 miliardi all’Italia, calcola Transport & Environment in un rapporto rilasciato il 20 giugno. Nel complesso, con le politiche attuali l’UE mancherebbe il target del 4,5%. Il motivo? 12 paesi sono così fuori strada che, senza nuove politiche in materia, non potranno onorare gli impegni. E altri 7 paesi sono al limite. La Francia, ad esempio, potrebbe mancare il target anche solo indebolendo alcuni provvedimenti nazionali o in caso di un inverno più rigido della norma con conseguente aumento dei consumi energetici.
L’Italia – insieme alla Germania – è maglia nera. Lo scostamento del Belpaese è del 7,7%, quello di Berlino addirittura del 10%. Se questi due paesi continuassero sulla traiettoria di oggi, nel 2030 avrebbero bisogno, da soli, di tutti crediti disponibili a livello UE. Rendendo quanto mai ostico ad altri paesi accedere al meccanismo di flessibilità. Lo sforamento di Roma e Berlino viaggia intorno ai 246 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (MtCO2eq), mentre l’ammontare dei crediti batte sui 180 MtCO2eq. L’Italia, da sola, dovrebbe acquistare 120 milioni di crediti.
In uno scenario intermedio, e verosimile, con i prezzi delle quote fissati a 129 euro per tonnellata di CO2 nel 2030, l’Italia dovrebbe quindi sborsare 15,5 miliardi di euro. Sprecando più del doppio delle risorse che, tra il 2026 e il 2032, l’UE trasferirà a Roma tramite il Fondo sociale per il clima per combattere la povertà energetica e dei trasporti. La possibile forchetta dell’esborso, calcola T&E, va dai 5,4 ai 31,1 miliardi di euro (vedi immagine sotto).
“L’ammontare delle sanzioni che i Paesi potrebbero dover pagare nel 2030 è impressionante. Gli stati membri si trovano di fronte a una scelta chiara: pagare miliardi per il loro debito di carbonio o implementare nuove politiche, che migliorino la vita dei loro cittadini e li proteggano dalle conseguenze del cambiamento climatico. Ci sono ancora sei anni per correggere la rotta”, afferma Andrea Boraschi, direttore di T&E Italia.
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