L’analisi dell’IISD su dati Rystad: esplorazioni nuovi giacimenti fossili tornate a livelli pre-Covid
Mentre l’anno scorso la Cop28 ha sancito l’impegno globale per una “transizione dalle fossili”, le compagnie del petrolio e del gas hanno investito oltre 26 miliardi di dollari nei primi 6 mesi del 2024 in esplorazioni di nuovi giacimenti fossili. Tornando così ai livelli pre-Covid. E tra i paesi più attivi ci sono le maggiori economie occidentali – come Stati Uniti, Canada, Norvegia, Australia, Gran Bretagna – che dovrebbero essere in prima linea nel rispettare l’esito del vertice internazionale.
I volumi toccati nel 1° semestre di quest’anno sono allarmanti, emerge da un rapporto dell’International Institute for Sustainable Development (IISD), che si basa sui dati industriali raccolti da Rystad. Allarmanti sia in termini assoluti, sia analizzando la tendenza degli ultimi anni. Le risorse individuate quest’anno sono molto più ingenti di quelle scoperte dal 2020 a oggi. Se totalmente sfruttate, immetterebbero da sole in atmosfera qualcosa come 12 miliardi di tonnellate di CO2. Ovvero più di quelle di tutti e 4 gli anni precedenti messe insieme. Il dato riguarda tutti i nuovi giacimenti fossili che hanno ottenuto una licenza quest’anno, fino a giugno, e i giacimenti per cui sono aperte, pianificate o annunciate procedure d’asta.
Il contributo di queste nuove risorse fossili al riscaldamento globale potrebbe risultare decisivo per mettere il mondo completamente fuori traiettoria rispetto all’obiettivo degli 1,5 gradi. Estrarre tutto il petrolio e il gas di questi nuovi giacimenti fossili, infatti, ci porterebbe, al 2040, a un volume di idrocarburi estratti doppio rispetto a quello compatibile con l’obiettivo più ambizioso del Paris Agreement. E quest’anno il “gap di produzione”, cioè il divario tra quante fossili vengono estratte e quante se ne possono estrarre rispettando Parigi, è cresciuto ai ritmi più alti dal 2015.
Chi c’è dietro questa accelerazione? Le principali economie mondiali occidentali. La maggior parte delle licenze (due terzi del totale), dal 2020 a oggi, sono state emesse da Stati Uniti, Canada, Australia, Norvegia e Regno Unito. Nella seconda metà dell’anno, prevede l’IISD, saranno invece Cina, Messico (che dal 1° ottobre sarà sotto la nuova presidenza di Claudia Sheinbaum, una scienziata del clima) e Russia a emettere il maggior numero di licenze.
“Eliminare le licenze per petrolio e gas è un logico passo successivo nella transizione verso l’energia pulita”, commenta Olivier Bois von Kursk dell’IISD. “I governi devono mettere in pratica l’accordo COP 28, in particolare quelli con le risorse economiche per guidare gli investimenti in settori più sostenibili”.