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Inserire il nucleare nel PNIEC dell’Italia è una scelta “irrazionale”

Nucleare nel PNIEC Italia: le ragioni del no
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Il nucleare nel PNIEC dovrebbe coprire l’11% del mix italiano

Quanto sono realistici gli obiettivi sul nucleare inseriti nel PNIEC dell’Italia? Quali sono gli ostacoli e le sfide che il ritorno all’atomo – in tempi piuttosto rapidi – ci presenterà nei prossimi anni? Dopo l’inclusione di uno “scenario nucleare” nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima da parte del governo Meloni si sono moltiplicate le prese di posizione contro questa scelta. Con considerazioni che spaziano dalla fattibilità tecnica all’opportunità di puntare su questa tecnologia.

Che ruolo ha il nucleare nel PNIEC dell’Italia?

La versione definitiva del PNIEC, inviata a Bruxelles il 1° luglio, fissa diversi obiettivi:

Nel complesso, con questi 8 GW il nucleare dovrebbe coprire circa l’11% del mix entro metà secolo. Ma è lo scenario più conservativo tra quelli sviluppati dalla Piattaforma sul nucleare sostenibile, da cui derivano le indicazioni integrate nel PNIEC. Le potenzialità reali per l’Italia sarebbero addirittura il doppio.

Ovviamente, sul fronte della fusione l’obiettivo va preso come una semplice indicazione: la tecnologia necessaria è ancora di là da venire e potrebbe richiedere decenni prima di poter arrivare effettivamente a uno stadio di maturità adeguato.

Per sviluppare la parte da fissione, il PNIEC fa riferimento a piccoli impianti modulari, ovvero SMR e AMR. Il MASE, negli ultimi mesi, ha ripetutamente negato la possibilità di fare ricorso a grandi centrali nucleari. Il vantaggio previsto dalla scelta dei mini-reattori è la maggior rapidità di costruzione degli impianti, che dovrebbero avere anche costi più contenuti. Per questa ragione, il governo ritiene di riuscire a dotarsi in tempo della capacità nucleare prevista.

Entrambi gli aspetti – tempi e costi – sono però messi in dubbio da alcune ricerche recenti che si basano sull’analisi dei (pochi) impianti di questo genere esistenti o in cantiere, in tutto il mondo. Rispetto ai tempi di realizzazione previsti dall’industria, quelli reali sono molto dilatati. Lo stesso problema che affliggeva e affligge tuttora lo sviluppo delle centrali di grossa taglia.

Le critiche al nucleare nel PNIEC 2030

È proprio sui tempi che si concentra la critica al nucleare nel PNIEC dell’Italia mossa dall’associazione Energia per l’Italia. Produrre il 20% del fabbisogno elettrico nazionale entro metà secolo significherebbe, calcola l’associazione, dover coprire 140 TWh con l’atomo. Data la scelta di puntare sugli SMR, che hanno taglie comprese tra i 100 e i 300 MW, si tratta di costruire dai 58 ai 175 mini-reattori in 25 anni. O, in alternativa, 11-18 reattori tradizionali di taglia maggiore.

“Dall’inizio del millennio la nuova potenza installata nell’intera unione europea è di soli 3,2 GW (due soli reattori da 1,6 GW), ipotizzando che il reattore di Flamanville 3 possa essere avviato entro il 2024”, sottolinea l’associazione. “Potrà realisticamente il nostro Paese da solo avviare nei prossimi 25 anni una quantità di potenza nucleare che è cinque volte tutta quella installata nell’intera Unione europea negli ultimi 25 anni?”.

Tanto più che la tecnologia degli SMR è “ancora embrionale”, l’Italia ha perso per strada “buona parte delle competenze tecnico-ingegneristiche per costruire nuovi reattori nucleari”. E “non riesce nemmeno a individuare un sito” per il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi.

Nodo scorie sottolineato anche dalla rete “100% rinnovabili Network”. “I nuovi modelli di reattori nucleari a fissione, anche se più piccoli dei precedenti, generano comunque grandi quantità di isotopi altamente radioattivi, producono rifiuti radioattivi, pericolosi per molte migliaia di anni, contaminano impianti e siti per lunghissimi periodi, rendono gli impianti a rischio di incidenti che, anche se con una probabilità bassa, possono causare impatti devastanti”, si legge nel loro appello.

Ma è la questione delle tempistiche, della possibilità di rispettare la tabella di marcia illustrata dal PNIEC e dalla (mancata) armonizzazione con la velocità del processo di decarbonizzazione indicata dalla scienza del clima, che resta al centro delle preoccupazioni di chi dice no al nucleare nel PNIEC Italia.

Di scelta “irrazionale” parlano il WWF Italia, Greenpeace Italia, Legambiente, Kyoto Club e Transport&Environment. L’inclusione dell’atomo, accusano, serve solo a “mantenere lo status quo” perché “qualsiasi apertura alle tecnologie nucleari fissili, che in realtà nulla hanno di nuovo (ad iniziare dai fallimentari Small modular reactor), dopo che in Italia ben due referendum si sono espressi in senso contrario, avrebbe comunque tempi ben più lunghi di quelli dettati dalla traiettoria della transizione.

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