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Nucleare in Italia, il punto della situazione

Nucleare nel PNIEC Italia: le ragioni del no
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Nel 2050 il nucleare in Italia potrebbe contare su 8 GW nucleari suddivisi in 23 mini-reattori, ciascuno con taglia da 3-400 MW. Uno scenario “minimo”, basato solo sulla fissione. Se nell’equazione si fa entrare anche il nucleare da fusione, la prospettiva potrebbe attestarsi su 25 GW di potenza elettrica, con l’energia dall’atomo che, complessivamente, salirebbe dall’11% al 35% del mix elettrico nazionale.

Nucleare in Italia, Rse tra mini-reattori e fusione

È l’orizzonte del ritorno del nucleare in Italia presentato da Franco Cotana, ad di Rse, nel corso del convegno “Il nuovo nucleare sostenibile: un’opportunità per l’Italia? – Un passo cruciale per la transizione energetica” organizzato da Fratelli d’Italia alla Camera il 18 febbraio.

Insieme all’Enea, Rse coordina la Piattaforma nazionale nucleare sostenibile, voluta dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto. Le proiezioni della Piattaforma sono la base dello “scenario nucleare” che il governo ha inserito nell’aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) lo scorso luglio.

Nel PNIEC però si parla, per il 2050, solo di 8 GW nucleari, di cui 7,6 GW da fissione e 0,4 GW da fusione. Questo autolimitando il potenziale dell’atomo della metà, spiega il PNIEC. Con 16 GW nucleari installati (prospettiva giudicata fattibile), aggiunge il documento, l’atomo coprirebbe il 22% del mix elettrico nazionale.

I dati forniti da Rse sul contributo del nucleare da fusione non sono stati inseriti nel PNIEC. “La fusione per Rse è importante, abbiamo firmato un accordo con BLueLaser Fusione e pensiamo che oltre al confinamento magnetico ci possa essere una tecnologia con il confinamento inerziale”, aggiunge Cotana.

Lo scenario nucleare del PNIEC è stato criticato da più parti sia per l’inaffidabilità della tecnologia che per la convenienza economica, che, ancora, per la possibile competizione con gli investimenti nelle rinnovabili.

Colli di bottiglia?

Tra gli altri interventi del convegno emergono quelli di due caposaldi del ritorno al nucleare in Italia: ISIN e SOGIN.

Secondo quanto prevede la bozza del Ddl Nucleare, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione dovrebbe diventare il nucleo della futura autorità di controllo, un ente amministrativo indipendente con compiti di verifica su sicurezza, vigilanza e controllo. Ma l’ISIN oggi è fortemente sottostaffato e con un’età media dei dipendenti elevata, avverte il direttore dell’istituto, Francesco Campanella.

“Noi siamo attualmente una sessantina di tecnici una trentina di amministrativi. L’età media dei nostri dipendenti è di 49 anni”, afferma Campanella. “Dobbiamo essere in qualche modo potenziati ed essere pronti”, continua, per non diventare un “collo di bottiglia”: “noi non vogliamo diventare il freno di nessuno”.

Mentre SOGIN, l’ente responsabile del decommissioning e del futuro deposito unico per le scorie, ribadisce che quello dei rifiuti nucleari non è un problema. Se la quantità di scorie prodotte in Italia sembra elevata è solo perché le centrali non sono state sfruttate appieno, sostiene l’ad Gian Luca Artizzu.

“La centrale nucleare di Caorso, nei quasi 5 anni in cui ha funzionato realmente e non a pieno regime, ha prodotto circa 29 miliardi di kilowattora, cioè 6 miliardi di kilowattora l’anno. Non è poco e non stava funzionando a pieno regime. I rifiuti prodotti da Caorso in quei 5 anni sono minimali, ma se consideriamo tutto il decommissioning dell’impianto, abbiamo dei rifiuti spropositati rispetto a quanto è stato prodotto, perché è stato fatto lavorare poco”, ragiona l’ad.

Resta però il nodo del deposito – sempre più in ritardo – e quello dei costi del decommissioning, che di recente sono di nuovo lievitati. Lo stesso Artizzu ha posticipato la fine del processo di 11 anni, al 2052, e annunciato che i costi saranno di 4 miliardi di euro in più.

Roma - Il nuovo nucleare sostenibile: un'opportunità per l'Italia?... (18.02.25)

SMR, poi AMR

Lato industria, dovrebbe ormai essere questione di poco tempo la formalizzazione della newco con cui l’Italia dovrebbe ritornare a pieno titolo tra gli attori della filiera nucleare. La partnership tra Enel (51%), Ansaldo Nucleare (39%) e Leonardo (10%), mediata dal ministero dell’Economia e delle Finanze, dovrebbe concentrarsi principalmente sugli SMR, i mini-reattori.

“La nostra visione del nucleare è quella di una staffetta tecnologica” tra le varie tecnologie, ha spiegato al convegno Nicola Rossi, responsabile Innovazione di Enel. Il primo step è quello degli SMR, mentre gli Advanced Modular Reactor (AMR) arriverebbero “in un orizzonte temporale successivo”.  

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