Il concetto di neutralità climatica – o neutralità di carbonio, o emissioni zero – è scivoloso. Suggerisce che esistano molti equilibri possibili, e che l’unica cosa che conta è trovarne uno. Invece di ridurre le emissioni, quindi, si può compensare i gas climalteranti prodotti. Secondo alcune autorevoli voci critiche, si tratta di fornire un alibi al business as usual
Cosa c’è dietro il concetto di neutralità climatica?
(Rinnovabili.it) – La neutralità climatica è diventato il mantra delle politiche sul clima. E come tutti i mantra ha un lato oscuro, degli aspetti non perfettamente trasparenti. È una locuzione che si presta a spiegare alcuni aspetti della crisi climatica, ma allo stesso tempo ne nasconde altri. E per questa ragione è un concetto scivoloso. Tanto che negli ultimi mesi si sono moltiplicate le voci critiche che mettono in guardia dall’abuso di questo concetto e dal trasformarlo nella stella polare di ogni politica climatica giudicata “ottimale”.
Neutralità climatica è insieme un riferimento al problema e alla sua soluzione. Meglio, suggerisce che problema e soluzione siano entrambi molto semplici. Cosa non funziona? Il concetto di carbon neutrality, o di emissioni nette zero, suggerisce che il problema ha la forma di uno squilibrio: quello tra le emissioni di gas climalteranti che vengono prodotte ogni giorno dalle attività umane e non solo, e la quantità di questi gas che il pianeta attraverso i vari ecosistemi è in grado di assorbire e togliere dall’atmosfera. Se il problema è solo uno squilibrio, la soluzione è piuttosto semplice: basta trovare un (nuovo) punto di equilibrio.
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Ma è realmente così semplice? Basta usare delle tecnologie o delle pratiche per assorbire più CO2 dall’atmosfera per appianare il problema, come il CCS e la riforestazione? “Questa è una grande idea, in linea di principio. Sfortunatamente, in pratica aiuta a perpetuare la fede nella salvezza tecnologica e diminuisce il senso di urgenza che circonda la necessità di ridurre le emissioni ora”, scrivono James Dyke, Robert Watson e Wolfgang Knorr, tre scienziati climatici di grande esperienza in un intervento di critica al concetto di neutralità climatica pubblicato lo scorso aprile. E continuano: “l’idea del net-zero emissions ha autorizzato un approccio sprezzantemente sprezzante “brucia ora, paga dopo” che ha visto le emissioni di carbonio continuare a salire”.
In altri termini: l’obiettivo è bilanciare le emissioni prodotte con emissioni negative. Si applica la logica contabile e algebrica che ha le sue radici nella proliferazione dell’economia come prisma principale attraverso cui guardare la realtà. È la stessa logica, a ben vedere, su cui sta appeso il concetto di debito.
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Insomma, se la necessità non è la riduzione delle emissioni in termini assoluti, ma solo quella di compensarle, allora si può continuare a emettere e quindi viene a mancare quella spinta propulsiva verso il cambiamento sistemico che sarebbe necessario. Per qualcuno, questo equivale sena mezzi termini a fornire un alibi al business as usual. “La neutralità climatica, in cui le emissioni sono compensate da altre misure, ha portato a ossimori come “diesel pulito” e “carbone pulito”. Viene utilizzato per verniciare di verde politiche dannose per l’ambiente. La cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica e la produzione di “idrogeno blu” dal gas naturale possono aumentare l’uso di combustibili fossili, ad esempio”, argomentava su Nature lo scorso marzo Claudia Kemfert, professore ordinario di Economia e sostenibilità energetica presso la Hertie School of Governance di Berlino.