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Cina: gli impatti globali della promessa neutralità climatica

Gli esperti di Climate Action Tracker calcolano che le promesse di Pechino abbasseranno il riscaldamento globale di 0,3°C.

Neutralità climatica
Credits: qi sun da Pixabay

Secondo un calcolo di CAT, la neutralità climatica cinese potrebbe significare fino a 0,3° C in meno

(Rinnovabili.it) – Quanto valgono gli ultimi impegni di Pechino sul clima? Almeno 0,2 – 0,3° C in meno nell’impennata delle temperature globali, rispondono gli esperti del consorzio Climate Action Tracker (CAT). E’ la conclusione a cui sono arrivati dopo aver calcolato il probabile impatto sul riscaldamento globale della promessa del presidente cinese Xi Jinping all’assemblea generale dell’ONU martedì scorso: il colosso asiatico raggiungerà la neutralità climatica prima del 2060, ha assicurato.

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Certo, se si ragiona con l’occhio ai valori assoluti c’è ben poco da stare allegri. Nel 2015, con l’Accordo di Parigi, circa 200 paesi si sono impegnati a ridurre le loro emissioni. La somma di tutti gli obiettivi nazionali, però, non è affatto sufficiente a rispettare il limite fissato nella capitale francese, ovvero restare ben al di sotto dei 2°C, e possibilmente entro un aumento di 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali. Anzi, secondo l’analisi di CAT si sarebbero tradotti in un riscaldamento di ben 2,7°C entro la fine del secolo. E’ questo numero che bisogna prendere come punto di partenza per contestualizzare la promessa di Pechino. Di fatto, la neutralità climatica cinese entro il 2060 abbassa le previsioni fino a 2,4 – 2,5°C. Sempre troppo.

Ma ciò non toglie che l’annuncio di Xi può avere effetti a cascata in tutto il mondo, data la stazza dell’economia cinese e le sue diramazioni lungo i canali terrestri e marittimi della Belt & Road Initiative. L’obiettivo della neutralità climatica, infatti, costringerà sicuramente Pechino a ripensare i suoi investimenti in particolare in infrastrutture e connettività già nel breve termine. E accelererà la trasformazione complessiva dell’economia cinese, che resta il maggior produttore mondiale di emissioni con una quota del 29% della CO2 immessa in atmosfera.

Per vedere quanto Pechino è sincera e quanto davvero punti a far combaciare gli annunci con le ambizioni concrete non bisognerà attendere molto. Il primo banco di prova è il 14° piano quinquennale, che dovrà coprire il periodo 2021 – 2025 e che sarà pubblicato nei prossimi mesi.

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Difficile ipotizzare che la svolta sulla neutralità climatica sia dipesa soltanto dalle recenti pressioni dell’Europa. Bruxelles continua a minacciare di introdurre una carbon border tax se la Cina non si adegua a obiettivi climatici più ambiziosi, e Pechino teme i danni per il suo export. Più probabile che nel calcolo del Politburo del partito comunista cinese sia la competizione con gli Stati Uniti a farla da padrone. Con Washington fuori da Parigi e in difficoltà su molti fronti, un ‘grande balzo in avanti’ sul clima può essere la ricetta cinese per il mondo post-covid.