Un rapporto di Fauna & Flora riassume tutte le nuove evidenze scientifiche sugli effetti sull’ambiente oceanico del deep-sea mining, lo sfruttamento dei giacimenti sui fondali oceanici. Previsti impatti “estesi” e “irreversibili”
Tra pochi mesi l’ISA potrebbe dare il via libera allo sfruttamento delle miniere sottomarine
(Rinnovabili.it) – Impatti “estesi” e “irreversibili”. È quello che ci dobbiamo aspettare dal via libera su scala globale alla corsa alle miniere sottomarine. Che potrebbe arrivare già nel giro di qualche mese dall’Isa, l’International Seabed Authority (ISA), cioè la branca dell’Onu che si occupa delle questioni dei fondali marini in acque internazionali. Per questo “è prematuro procedere” con le miniere sul fondo degli oceani. Il loro sfruttamento, “in assenza di tecniche adeguate e comprovate di mitigazione o per evitarne gli impatti”, dovrebbe essere “evitato del tutto”.
Lo chiede l’associazione internazionale per la tutela della fauna selvatica Fauna & Flora in uno studio dove raccoglie tutte le evidenze scientifiche dei danni che saranno causati dallo sdoganamento del deep-sea mining. Per Catherine Weller di Fauna & Flora, il rapporto “dimostra inequivocabilmente” che non conosciamo ancora a fondo i rischi associati con lo sfruttamento delle miniere sul fondo degli oceani. Per questo “noi – insieme a molte altre organizzazioni che lavorano per proteggere il futuro del nostro pianeta – esortiamo l’ISA a evitare di concedere contratti minerari prematuramente e ad adottare una moratoria sull’estrazione in acque profonde”.
L’impatto delle miniere sul fondo degli oceani
I nuovi dati acquisiti dalla ricerca scientifica negli ultimi 3 anni, cioè dalla prima edizione di questo rapporto, aggiungono dei tasselli lungo l’intero processo di estrazione di metalli preziosi per la transizione e terre rare dai fondali oceanici oltre i 3000 metri di profondità. A partire dalle emissioni di gas serra generate dalle operazioni alle possibili interferenze con la pesca, dall’estensione dei sedimenti in sospensione nelle acque a media profondità ben oltre le aree assegnate per lo sfruttamento al raggio ampio del disturbo sonoro causato dalle operazioni sul fondale.
Fino alla distruzione dell’habitat delle specie sessili, cioè quelle incapacità di motilità e ancorate a elementi solidi. Per finire con l’interferenza con molti elementi che contribuiscono al ciclo del carbonio, dagli organismi bentonici alla perturbazione su larga scala degli stock di carbonio immagazzinato nei sedimenti marini e dei batteri responsabili del sequestro del carbonio, che potrebbe esacerbare il cambiamento climatico.
“Conosciamo le profondità marine meno di qualsiasi altro luogo del pianeta; oltre il 75% dei fondali marini non è ancora stato mappato e meno dell’1% dell’oceano profondo è stato esplorato”, commenta Sophie Benbow di Fauna & Flora. “Ciò che sappiamo, tuttavia, è che l’oceano svolge un ruolo cruciale nel funzionamento di base del nostro pianeta e che la protezione del suo delicato ecosistema è quindi fondamentale non solo per la biodiversità marina, ma per tutta la vita della Terra”.