Senza regole condivise, sfruttare le miniere sottomarine creerà un far west minerario
(Rinnovabili.it) – Fumata nera all’Onu sul via libera al deep-sea mining. I delegati nazionali non sono riusciti a trovare un accordo sulle regole che devono guidare l’estrazione di minerali dal fondo degli oceani. Ma l’ente delle Nazioni Unite che gestisce questo processo, l’International Seabed Authority (Isa), comincerà comunque a ricevere le richieste di permesso per lo sfruttamento delle miniere sottomarine da luglio.
Comunità internazionale spaccata
Non sono bastati 24 giorni di incontri e negoziati a Kingston, in Giamaica, per trovare un accordo sui limiti delle nuove miniere a “mare aperto”. Già questo è un dato piuttosto eloquente sulle profonde divisioni.
Da un lato Nauru, le isole Cook e la Cina hanno continuato a spingere per l’ok al deep-sea mining. Pechino è il paese che più di tutti sta prendendo sul serio le miniere sottomarine per diversificare gli approvvigionamenti di materie prime critiche e di recente ha annunciato maggiori sforzi nella ricerca tecnologica per mettere le mani sui giacimenti di terre rare, nickel, cobalto, litio e altri minerali essenziali per la transizione energetica. Nauru invece vede il deep-sea mining come un’opportunità di riscatto economico da non perdere, visto che parte del maggior giacimento mondiale si trova nelle sue acque.
Dall’altro lato, all’incontro in Giamaica si sono moltiplicate le voci di chi chiede prudenza perché non si conosce l’impatto ambientale del deep-sea mining. Sia Vanuatu che la Repubblica Dominicana hanno annunciato ufficialmente il loro sostegno a una “pausa precauzionale” fino a quando non saranno disponibili maggiori informazioni scientifiche sugli impatti dell’estrazione in acque profonde. Alla richiesta di moratoria si associano Cile, Costa Rica, Ecuador, Figi, Francia, Germania, Micronesia, Nuova Zelanda, Palau, Panama, Samoa e Spagna.
Nessun vero stop alle miniere sottomarine
Lo stallo nei negoziati però non si traduce in un vero e proprio stop. Il processo che sta seguendo l’Isa, infatti, prevede che si possa iniziare lo sfruttamento delle miniere sottomarine già quest’anno anche in assenza di regole condivise. È il frutto del pressing di Nauru, che nel 2021 ha attivato una clausola (two-years rule) per cui i negoziati hanno tempo fino a luglio di quest’anno per produrre il quadro di regole, in assenza delle quali l’estrazione è comunque permessa. E gli incontri di marzo hanno ribadito questo punto: da luglio l’Isa potrà ricevere richieste di permessi di sfruttamento, i primi in assoluto (finora sono stati erogati solo permessi di esplorazione).
“La regola dei due anni doveva essere una “valvola di sicurezza” nel caso in cui i negoziati raggiungessero un’impasse. Non è stata pensata per imporre scadenze arbitrarie a negoziati sostanziali e in buona fede”, dichiara Jessica Battle, responsabile dell’iniziativa globale No Deep Seabed Mining del WWF. “Il mondo non deve essere spinto verso una nuova industria estrattiva distruttiva da pochi sconsiderati che vogliono trarre profitto”.
Oltre ai tempi brevissimi c’è un altro problema: la mancanza di trasparenza quasi totale. Le parti più delicate dei negoziati sono off limits per gli osservatori: ad esempio, sono a porte chiuse le sessioni in cui si discute su come procedere nei prossimi appuntamenti. Un punto cruciale vista la tagliola che scatterà a luglio.
“Ammettiamolo: i risultati di questo incontro sono inaccettabili. I governi hanno lasciato la porta aperta all’estrazione mineraria a partire da quest’anno”, attacca Greenpeace, che sottolinea che “l’industria non sta aspettando, non dovrebbero farlo nemmeno i governi”.