di Paolo Travisi
Materie prime rare, 56% dell’import in Ue proviene dalla Cina
Per produrre energie rinnovabili, auto elettriche e batterie c’è bisogno di grandi quantità di materie prime rare – in inglese Critical Raw Materials (o CRM) – che sono un insieme di elementi, minerali e metalli fondamentali per compiere la transizione energetica e alla base di molti dispositivi e tecnologie digitali, dai chip dei computer agli smartphone.
L’Italia è il paese che detiene il primato europeo per dipendenza da importazioni extra-UE, contribuendo a circa 686 miliardi di euro di valore nella produzione industriale, una cifra mostruosa, pari al 32% del PIL che rende il nostro paese significativamente vulnerabile. Secondo la lista stilata dall’Ue sono 34 le materie critiche, tra cui le più noto ed utilizzate sono: rame, litio, cobalto, nickel, manganese, grafite, terre rare. Se la Cina domina il mercato globale, secondo uno studio condotto dall’Università KU Leuven (Metals for Clean Energy), la domanda di questi materiali aumenterà del 500% entro il 2050.
Materie prime rare, Italia può generare 6 miliardi di valore
Da qui si comprende l’importanza degli sforzi per ridurre questa dipendenza. Secondo uno studio commissionato da Iren e realizzato da TEHA Group, investendo 1,2 miliardi di euro, l’Italia può ridurre la dipendenza dall’estero di quasi un terzo generando oltre 6 miliardi di euro di valore aggiunto per la filiera al 2040; solo negli ultimi 5 anni ha aumento il contributo delle materie prime critiche del 51% nella produzione a livello industriale.
Inoltre il dossier evidenzia che dal paese cinese arriva il 56% delle materie prime critiche importate in Europa, il cui squilibrio nella disponibilità dipende molto anche dagli investimenti che il Governo di Pechino ha fatto nel settore, in rapporto al totale europeo: nel 2023, la Cina ha investito 14,7 miliardi contro i 2,7 dell’Europa.
Come limitare le importazioni dalla Cina: le 4 strategie operative
Come fare allora per recuperare il gap e limitare le importazioni? Lo studio propone quattro strategie operative: l’esplorazione mineraria, le partnership con i Paesi africani, la raffinazione e trattamento e infine il recupero delle materiali e utilizzo delle materie prime seconde nelle produzioni industriali, tra cui la corretta valorizzazione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), rispetto a cui l’Europa rappresenta il continente che ne genera il maggior quantitativo pro capite, pari a 16,2 kg.
“La strada più efficace da seguire è quella dello sviluppo dell’economia circolare, attraverso l’incremento dei volumi di Raee raccolti, incentivare l’utilizzo delle materie prime seconde nelle produzioni industriali attraverso la definizione di criteri end-of-waste e di schemi incentivanti per l’utilizzo di materiali riciclati”, ha sottolineato Luca Dal Fabbro, presidente di Iren. Per esempio il litio nelle batterie, il silicio per i semiconduttori, l’indio per i display dei dispositivi, sono tutti materiali su cui si può lavorare per favorirne il recupero ed il riciclo.
Soluzioni? Esplorazione minerarie e recupero dei rifiuti RAEE
La prima ipotesi dello studio si riferisce ad un nuovo piano di esplorazione mineraria, che include una strategia di consolidamento delle competenze minerarie; in questo contesto di grande importanza sarà rafforzare le partnership internazionali e in particolare con i paesi africani, ricchi di materie prime rare – su cui negli anni scorsi ha già stretto accordi commerciali e di sfruttamento la Cina – nei confronti del quale però il nostro paese potrebbe promuovere partnership paritetiche che favoriscano lo sviluppo industriale dei Paesi africani nell’estrazione e lavorazione delle Materie prime critiche .
La terza proposta riguarda l’individuazione delle aree strategiche di specializzazione per l’Italia nella fase di lavorazione delle materie prime critiche, con il coordinamento dell’UE per ridurre la frammentazione.
Secondo lo studio, infatti, lo sviluppo dell’economia circolare e dei processi di urban mining rappresenta la soluzione a breve più efficace, a cui va aggiunta una leva strategica, la crescita dei volumi di rifiuti RAEE raccolti, il cui 70% non viene gestito correttamente per la scarsa presenza di centri di raccolta fruibili e la ridotta consapevolezza dei cittadini. In Italia, infatti, gli impianti accreditati per il recupero e trattamento dei RAEE non sono adeguati alla gestione dei volumi prodotti (solo 47 impianti su 1.071 risultano accreditati, pari al 4,3%), mentre il 90% delle componenti dei RAEE da cui estrarre materie prime critiche è esportato.