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Keystone XL: così il Canada vuole salvare l’oleodotto da Biden e Kerry

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Credits: PublicDomainPictures da Pixabay

In dubbio il destino di Keystone XL

(Rinnovabili.it) – “I tempi sono cambiati” e anche il Keystone XL “non è più lo stesso progetto” su cui Kerry aveva messo il veto 5 anni fa. La pensa così Kirsten Hillman, l’ambasciatrice del Canada negli Stati Uniti che promette di sollevare al più presto la questione con la nuova amministrazione americana. Hillman da un lato plaude alle scelte del neo presidente Biden sul clima. Ma dall’altro lato teme che la nomina dell’ex segretario di Stato a inviato per il clima metta (di nuovo) la parola fine al progetto dell’oleodotto. Spingendo il Canada a rimpiangere Trump.

Il Keystone XL ha una storia lunga e travagliata. Su carta, è un oleodotto lungo 2mila km che dovrebbe tagliare il Nord America da nord a sud. L’obiettivo è collegare la provincia canadese dell’Alberta con il golfo del Messico. E trasportare 830mila barili al giorno di sabbie bituminose da una delle regioni dove si concentra il grosso della produzione mondiale di questa tipologia di petrolio altamente inquinante fino ai terminal dell’export e alle raffinerie sulla costa sud degli Stati Uniti.

Keystone XL e gli altri maxi-progetti in forse

Il Keystone XL aveva ricevuto una battuta d’arresto sotto l’amministrazione Obama, nel novembre del 2015. Un ruolo importante nel cassare il progetto l’aveva svolto proprio Kerry. Ma con l’insediamento di Trump i giochi si erano riaperti in fretta. Il nuovo inquilino della Casa Bianca aveva ribaltato tutto e dato il via libera già a marzo 2017. Poi con lo scoppio della pandemia – e la riduzione delle proteste – la società proprietaria aveva provato a mettere il turbo ai lavori.

I timori del Canada sono più che giustificati. In campagna elettorale, Biden ha promesso esplicitamente di cassare il progetto. Sarebbe una decisione di bandiera, altamente simbolica sia per la lotta contro la crisi climatica sia per ridare centralità al tema della giustizia ambientale e al rispetto dei diritti delle minoranze, entrambi punti che Biden ha messo al centro della sua strategia.

E per lo stesso motivo anche due altri grandi progetti di pipeline potrebbero ricevere uno stop secco dalla nuova amministrazione. Il primo è senz’altro il Dakota Access, o meglio il piano per raddoppiarlo (controverso pure tra gli stessi azionisti). L’oleodotto è la più grande pipeline che insiste sul bacino di scisto Bakken del Nord Dakota, in via di esaurimento. Finora, ha trasportato 570mila barili al giorno.

Ma la crisi dei prezzi del petrolio e le difficoltà dell’industria dello shale americana a restare competitiva fanno ritenere improbabile se non inutile l’espansione prevista fino a una capacità di 1,1 milioni di barili. Altra ragione per cui Biden potrebbe cercare lo stop è che il Dakota Access è stato una pietra miliare nell’attivismo ambientale americano per il coinvolgimento delle comunità dei nativi americani del Nord Dakota.

E non va dimenticato il progetto Line 3, una pipeline attiva dal lontano 1968 e gestita dalla canadese Enbridge che corre dall’Alberta al Wisconsin. La società ne vuole sostituire un segmento in Minnesota ma sta trovando l’opposizione di gruppi ecologisti e delle comunità di nativi americani.

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