Il Coreper ha dato luce verde all’intesa sul Just Transition Fund
(Rinnovabili.it) – Da ieri la ripresa dell’UE è un po’ più verde. I governi dei Ventisette tramite il Coreper hanno detto no all’uso delle risorse del Just Transition Fund per investimenti nelle fonti fossili, compresi i progetti legati al gas naturale. Fuori dai giochi anche il nucleare.
A settembre, il Parlamento europeo aveva votato per consentire ai progetti sul gas di rientrare nel Fondo per una transizione giusta dell’UE (Just transition fund), progettato per sostenere le regioni europee più dipendenti dai combustibili fossili nella loro transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, limitando al contempo gli impatti economici e sociali.
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Ma con un accordo raggiunto la settimana scorsa tra Consiglio europeo e europarlamento aveva innestato la marcia indietro. E sbarrato di nuovo la porta alle fossili, per preservare la portata trasformativa del Green Deal e dei fondi messi a disposizione per la ripresa verde.
Questo nodo aveva scatenato un dibattito acceso a Bruxelles. L’accordo raggiunto è frutto di un compromesso. I fondi del Just Transition Fund sono blindati. Si tratta quindi di 17,5 miliardi di euro – cifra rivista al ribasso con l’intesa sul budget UE raggiunta settimana scorsa – per sostenere le regioni che più dipendono da combustibili inquinanti nella transizione verso la neutralità climatica entro il 2050. Da questo ammontare non arriveranno investimenti nell’industria fossile e in attività collegate.
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Ma in parallelo l’accordo prevede che una quota, anche se relativamente piccola, dell’European Regional Development Fund possa essere destinata a progetti sul gas naturale, a certe condizioni. Gas che molti paesi considerano la principale energia di transizione e che per questa ragione è stato ampiamente sponsorizzato affinché potesse ancora essere destinatario di investimenti.
Tra i paesi che probabilmente riceveranno le fette maggiori del Just Transition Fund figurano la Germania, impegnata nel phase out del carbone, e nazioni dell’est Europa con economie ben più fragili di quella tedesca come Polonia e Romania.