Un nuovo studio della Global Fishing Watch ha mappato le attività delle navi industriali e le infrastrutture energetiche offshore nelle acque costiere dal 2017 al 2021. Scoprendo che il 72-76% dei pescherecci industriali a livello globale non è monitorato pubblicamente
La mappatura satellitare rivela una nuova rivoluzione industriale nei nostri mari
(Rinnovabili.it) – “Sulla terraferma, abbiamo mappe dettagliate di quasi tutte le strade e gli edifici del pianeta. Al contrario, la crescita [delle attività umane] nel nostro oceano è rimasta in gran parte nascosta alla vista del pubblico”. Con queste parole David Kroodsma, direttore della ricerca e dell’innovazione presso Global Fishing Watch, spiega le motivazioni dietro allo studio dedicato all’impronta dell’uomo sugli oceani.
Un’impronta a lungo nascosta e resa oggi “visibile” attraverso un uso combinato di immagini satellitari, dati GPS delle navi e modelli di deep learning. Kroodsma e colleghi hanno impiegato tutti questi strumenti per mappare le attività delle navi industriali e le infrastrutture energetiche offshore nelle acque costiere a livello globale dal 2017 al 2021. Quello che hanno scoperto fa chiarezza in un settore che gode ancora oggi di una certa invisibilità nei confronti dei programmi istituzionali di controllo.
L’impatto dell’uomo sugli oceani
L’analisi rivela, ad esempio, che circa il 75% dei pescherecci industriali a livello globale non sono monitorati pubblicamente, e gran parte della pesca si concentra nell’Asia meridionale, nel Sud-est asiatico e in Africa. “I dati disponibili al pubblico suggeriscono erroneamente che Asia ed Europa abbiano quantità simili di pesca all’interno dei loro confini – spiega la coautrice Jennifer Raynor -, ma la nostra mappatura rivela che l’Asia domina: per ogni dieci pescherecci che abbiamo trovato in acqua, sette si trovavano in Asia e solo uno in Europa”.
Non solo. Il nuovo studio sull’impatto dell’uomo negli oceani ha determinato anche che oltre il 25% dell’attività delle navi da trasporto e delle petroliere non è presente nei sistemi di tracciamento pubblici. Il valore più alto è legato all’Asia ma va sottolineato che la maggior parte di queste imbarcazioni, tuttavia, operava in aree con scarsa ricezione satellitare AIS. “Quindi è possibile che molte navi trasmettono le loro posizioni ma non siano tracciabili con i servizi di localizzazione AIS globali“, si legge nello studio.
Mare, uno spazio di lavoro affollato e complesso
Altro dato interessante: a livello globale, la pesca è diminuita del 12% circa all’inizio della pandemia di COVID-19 nel 2020 e nel 2021 non è tornata ai livelli pre-pandemia nel 2021. Al contrario, le attività delle navi da trasporto e delle petroliere sono rimaste relativamente inalterate durante lo stesso periodo. Nel contempo l’energia eolica offshore sta crescendo rapidamente. La maggior parte delle turbine appare confinata in piccole aree dell’oceano, ma nel 2021 gli aerogeneratori hanno superato il numero di strutture petrolifere. “Una nuova rivoluzione industriale sta emergendo nei nostri mari senza mai essere stata rilevata, fino ad ora”, ha sottolineato Kroodsma
“L’impronta dell’Antropocene non è più limitata alla terraferma“, ha aggiunto il coautore Patrick Halpin. “Avere una visione più completa dell’industrializzazione degli oceani ci permette di vedere una nuova crescita dell’eolico offshore, dell’acquacoltura e dell’estrazione mineraria che si stanno rapidamente aggiungendo ad attività consolidate quali la pesca industriale, la navigazione marittima e il settore degli idrocarburi. Il nostro lavoro rivela che l’oceano globale è uno spazio di lavoro industriale occupato, affollato e complesso della crescente economia blu”.
Lo studio completo è consultabile su Nature (testo in inglese).