Tra gli 8 impianti in costruzione e i 38 pianificati, nei prossimi anni l’Europa potrebbe essere inondata di gas naturale liquefatto. Una scelta inutile – la capacità di rigassificazione attuale è usata solo al 63% - e dannosa per il clima (emetterebbe 950 MtCO2eq l’anno)
Un rapporto di Greenpeace e Energy Justice Investigations sui piani di aumento per l’import Gnl UE
(Rinnovabili.it) – Da quando la guerra in Ucraina ha fatto traballare la sicurezza energetica italiana, Roma ha moltiplicato la sua capacità di import di Gnl (gas naturale liquefatto) per liberarsi dal giogo del Cremlino. Quest’operazione non è stata presentata solo come una risposta all’emergenza ma come l’opportunità di fare dell’Italia l’hub mediterraneo del gas per l’Europa intera: a questo scopo, si pensa di rispolverare vecchi progetti di terminal Gnl sparsi per la penisola. Questo approccio ha due problemi enormi. Il primo è che lo stesso ragionamento sull’hub lo hanno fatto molti altri paesi europei e si rischia di agghindare l’Europa con una capacità di import di Gnl in UE sostanzialmente inutile. Il secondo è che questi piani fanno a pugni con gli impegni climatici, italiani ed europei.
Lo spiega con tutti i numeri del caso un rapporto di Greenpeace e Energy Justice Investigations, pubblicato oggi, che fa il punto sulle conseguenze di uno sviluppo delle infrastrutture del gas in Europa di proporzioni così vaste come quelle proposte nell’ultimo anno.
Tutti i numeri della capacità di import Gnl europea pianificata
Oggi sono in fase di costruzione 8 nuovi progetti di import di Gnl mentre altri 38 impianti sono ancora su carta, proposti ma non ancora messi in cantiere. Del totale, 7 sono FRSU – navi metaniere ormeggiate offshore, come quelle di cui si sta dotando l’Italia a Piombino e Ravenna – mentre gli altri sono terminal Gnl sia a terra che galleggianti.
Tutti insieme, questi impianti avrebbero una capacità di import di Gnl in Ue di 227 miliardi di metri cubi (bcm), dato che include anche le espansioni previste per le strutture esistenti. La Germania domina la lista con oltre 94 bcm pianificati e al secondo posto c’è l’Italia con più di 30 bcm. Seguono Grecia (21 bcm), Olanda (16), Spagna (8), e poi Estonia, Lettonia, Francia, UK e Croazia tutti con meno di 7,5 bcm pianificati a testa.
Hanno senso, questi piani? Uno sviluppo infrastrutturale del genere, secondo Greenpeace, è “irrazionale”. Nel 2022, l’anno più acuto della crisi del gas, le importazioni europee via mare dagli alleati sono aumentate (dagli Stati Uniti, ad esempio, del 140%). Eppure l’Europa è rimasta ben lontana dal saturare la sua capacità di import di Gnl: il tasso di utilizzo degli impianti non è andato oltre il 63%.
Poi c’è un problema di tempi: la maggior parte dei progetti in cantiere e su carta non vedrà la luce prima del 2026 e quindi non servirà in alcun modo a tamponare l’emergenza creata dallo stop al gas dalla Russia. A cosa servirà, invece? A vincolare al consumo di gas i paesi UE grazie a contratti di 15-20 anni. Rallentando così la transizione. E se venissero costruiti tutti, questi 46 impianti Gnl, emetterebbero in totale 950 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (MtCO2eq) l’anno, praticamente il 30% dei gas serra generati nel 2019 dall’intera Ue.