di Vittorio Marletto
(Rinnovabili.it) – I miei rapporti col nucleare sono sempre stati pessimi, fin dagli anni settanta, in cui mi sentivo associato all’aggettivo nucleare ogni volta che dichiaravo di studiare fisica. Il colloquio in genere era questo: Cosa studi? Fisica. Nucleare? No. Silenzio imbarazzato del tizio, fastidio mio che dovevo cercare di spiegare che mi interessavo di altra fisica, e molto poco dell’atomo e del suo nucleo.
In sostanza l’italiano medio di allora conosceva il sostantivo fisica solo associato all’aggettivo nucleare a causa di una potente campagna di propaganda per l’attivazione di un settore elettronucleare nazionale, condotta fin dagli anni cinquanta dal Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari (CNRN) nato nel 1952. Negli anni sessanta la campagna continuò con successo, sostenuta da un insieme di forze che includevano il Cnen (Comitato nazionale per l’energia nucleare, struttura scientifica creata nel 1960 e confluita nel 1982 in Enea) e l’Enel (Ente nazionale energia elettrica, nato nel 1962 dopo la nazionalizzazione del settore elettrico, che fino ad allora era stato in mano a operatori privati grandi e piccoli).
Le prime tre centrali nucleari italiane risalgono a quegli stessi anni. Nel 1962 infatti entra in funzione la centrale di Latina, nel 1963 quella Garigliano di Sessa Aurunca e nel 1964 quella di Trino Vercellese. Si trattava di impianti relativamente piccoli utilizzati non tanto per l’energia generata quanto per acquisire competenze operative.
Il neonato settore nucleare italiano viene subito funestato da uno scandalo colossale che porta all’arresto, condanna e detenzione dell’ingegnere e geologo applicato Felice Ippolito, che del nucleare italiano era stato il principale promotore e animatore. Ippolito farà due anni di prigione e verrà poi graziato ma non tornerà più a occuparsi direttamente di produzione energetica, assumendo per molti anni il ruolo di direttore del mensile Le Scienze, edizione italiana del ben noto periodico Scientific American da lui fondata nel 1968, e dalle cui colonne sosteneva a spada tratta le sorti del nucleare civile italiano.
I guai proseguono per il nucleare nazionale a causa della grande rivalità tra due filiere costruttive, una sostenuta da Fiat e l’altra da Ansaldo. Il prevalere di quest’ultima tecnologia porterà finalmente alla costruzione del reattore nucleare di Caorso (Piacenza), che entrerà in attività solo nel 1978, e in produzione nel 1981, dopo undici anni di lavori e prove. Nel frattempo Francia e Germania avevano già attivato decine di centrali.
Dopo la crisi energetica del 1973, dovuta all’ennesima guerra arabo israeliana, e al conseguente aumento dei prezzi petroliferi, l’Italia (ministro Donat Cattin) decise di puntare con decisione al nucleare, prevedendo di costruire ben venti centrali, attivandone due all’anno (!), decisione che si rivelerà del tutto velleitaria, dato che Caorso sarà l’unico reattore di taglia commerciale ad entrare effettivamente in funzione.
La prima nuova centrale prevista dal citato programma nucleare, quella di Montalto di Castro (Viterbo), scatenò la nascita del movimento antinucleare italiano. Nonostante le contestazioni e le proteste (ricordo bene il freddo di una notte passata a Pian dei Gàngani per cercare di impedire l’avvio dei cantieri) i lavori di costruzione cominciarono lo stesso, ma solo nel 1982, ossia tre anni dopo il grave incidente al reattore nucleare americano di Three Mile Island (28 marzo 1979, con fusione parziale del nocciolo e rilascio ambientale di sostanze radioattive).
Montalto prevedeva due reattori da quasi mille megawatt ciascuno ma non venne mai completata. Infatti nel marzo 1986 l’opinione pubblica italiana fu duramente sorpresa dal gravissimo incidente di Chernobyl, con forte rilascio di radiazioni in atmosfera e ricaduta anche sul suolo nazionale (venne proibita la raccolta di ortaggi e funghi, nonché la distribuzione di latte prodotto con fieno fresco). Ne seguì un referendum abrogativo (1987) e negli anni successivi la definitiva fermata del programma nucleare Enel a opera dei governi pentapartito dell’epoca.
Per tornare a sentir parlare di nucleare in Italia si dovette attendere il secondo e poi il terzo governo Berlusconi, che nel 2009, con il ministro Scajola, mise in campo un programma da almeno quattro reattori francesi contro il quale scattò una nuova campagna referendaria. Poco prima del referendum il mondo assistette sgomento e in diretta alle esplosioni dei reattori di Fukushima seguite al terremoto e maremoto del marzo 2011. Il secondo referendum pochi mesi dopo sancì nuovamente la contrarietà del paese allo sviluppo del nucleare come fonte energetica.
E oggi? Sono passati dieci anni da Fukushima e dal referendum, Chernobyl è ancora una minaccia dopo ben 35 anni, mentre l’Italia ha avviato una riconversione sia pur parziale alle fonti rinnovabili, con nuovi obblighi europei e internazionali che spingono alla chiusura del settore fossile, come testimonia la dismissione in corso di diverse centrali termoelettriche a carbone, ultima quella della Spezia, autorizzata da Cingolani il 2 dicembre 2021.
Purtroppo, con la scusa che le rinnovabili sono intermittenti e condizionate dal meteo, è di nuovo in piena ripresa la propaganda nuclearista, con convegni, interventi in televisione e una massiccia presenza di sedicenti “avvocati dell’atomo” sui social network. Diverse testimonianze universitarie ci riferiscono che la propaganda è particolarmente attiva sugli studenti delle facoltà tecnico scientifiche, giovani che nel 2011 erano ancora ragazzini e che evidentemente non ricordano bene i fatti di allora.
In controtendenza invece le posizioni espresse pubblicamente dal capo di Enel, Francesco Starace, che ha dichiarato la sua contrarietà a discutere di nucleare in Italia mentre a suo avviso le soluzioni sono rinnovabili e accumulo. Non è solo lui a pensarla così, vi è una nuova e abbondante letteratura tecnica che depone a favore della necessità e fattibilità di una conversione energetica globale (e quindi anche italiana) verso un mondo dove tutto è elettrico e l’elettricità è tutta rinnovabile, con sostanziale azzeramento sia delle emissioni climalteranti che di quelle inquinanti e cancerogene associate alla combustione di petrolio gas e carbone.
Tornando ai miei pessimi rapporti col nucleare, non posso che rallegrarmi per le posizioni di Starace ed Enel spa espresse al Corriere della Sera, diametralmente opposte a quelle di Enel quando era ente pubblico, ed augurargli che riesca a dar seguito ai suoi programmi, che trovo lungimiranti, scientificamente basati e del tutto ragionevoli, con buona pace di chi da una vita non si rassegna e continua a ballare sull’atomo, incurante dei pericoli e delle brutte figure.