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Il ‘Club del clima’ del G7 non farà bene al clima

La proposta di Berlino servirà solo a evitare guerre commerciali tra alleati, non ad aumentare l’ambizione climatica. La Germania pensa più a proteggere l’industria pesante che a tenere gli 1,5°C a portata di mano.

Club del clima: svelata la proposta della Germania
crediti: Deutsche Bundesbank via Flickr | CC BY-NC-ND 2.0

Il Club del clima sarà lanciato solo alla COP28, tra un anno

(Rinnovabili.it) – Più che accelerare il contrasto della crisi climatica, servirà (quasi) solo a evitare guerre commerciali. Il ‘Club del clima’ proposto dalla Germania nasce moscio. Chiamerà, sì, a raccolta i paesi con politiche climatiche ambiziose – partendo in seno al G7. Ma i suoi ‘Terms of Reference’ pubblicati ieri da Berlino fanno ben poco per catalizzare l’azione climatica e spingere i membri del gruppo a fare di più per tenere in vita l’obiettivo 1,5 gradi. Gran parte delle sue attività, infatti, consistono solo nell’armonizzare le misure prese a livello nazionale.

Le regole del Club del clima

Primo indizio: le regole del Club del clima ripetono semplicemente i target climatici ormai consolidati nella letteratura scientifica come nei vertici internazionali: -43% di emissioni entro fine decennio rispetto al 2019, neutralità di carbonio al 2050. In realtà il focus è un altro e riguarda la politica industriale. Il secondo indizio si trova già al punto 3 del documento: “L’attenzione sarà rivolta in particolare al settore industriale, contribuendo così a sostenere la crescita verde e affrontando, tra l’altro, la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e altri possibili rischi per gli sforzi di mitigazione, nel rispetto delle norme internazionali”, si legge. Poco oltre si mette l’accento sui settori hard-to-abate.

Sono esattamente i settori dell’industria pesante su cui interverrà il CBAM, il meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera che l’UE lancerà a ottobre 2023. Costringendo i partner commerciali – Cina e USA su tutti – a comprare crediti di carbonio per le emissioni incorporate nell’export se le loro politiche climatiche sono meno esigenti di quelle europee. Gli stessi settori su cui sono in corso scaramucce tra Washington e Bruxelles, con gli Stati Uniti che propongono un accordo transatlantico sull’acciaio per tastare il terreno. D’altronde, il tema del carbon leakage – la rilocalizzazione all’estero di industrie strategiche che sfruttano i minori costi della CO2 di paesi terzi per aumentare la competitività – è citato esplicitamente tra i dossier su cui il Club del clima si deve concentrare.

Per ovviare a questi problemi, “i membri si impegneranno in un dialogo strategico sulla mitigazione della rilocalizzazione delle emissioni di carbonio a livello industriale e sulla crescita verde, al fine di ricercare sinergie nei diversi percorsi nazionali aumentandone l’efficacia”. In altri termini, il Club del clima nelle intenzioni di Berlino è un forum in cui si cerca di coordinare le politiche industriali e climatiche per livellarle ed evitare tensioni. Non un meccanismo per incentivare i membri ad aumentare la loro ambizione.