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I tanti limiti del PNRR

"Guardare nel retrovisore quando tutto il mondo osserva l'orizzonte davanti a se. Si può sintetizzare così il PNRR", scrive Livio de Santoli

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di Livio de Santoli

(Rinnovabili.it) – Guardare nel retrovisore quando tutto il mondo osserva l’orizzonte davanti a se. Si può sintetizzare così il PNRR, viso che la maggior parte delle proposte sono frutto del passato e non sono minimamente in sintonia con la necessaria transizione climatica. La prova? Abbiamo calcolato che lo stimolo per le rinnovabili presente nel PNRR è solo il 25% di quello necessario per raggiungere il 55% di riduzione delle emissioni che è l’obiettivo fissato dall’Unione Europea. Interpretato dal nostro paese come un 51%, forse in memoria del 17% che fu fissato nei primi anni del secolo per gli obiettivi 20/20/20 al 2020. Possiamo anche fare qualche gioco con le percentuali, ma dovremmo capire che oggi è il clima che cambia a non fare sconti. E questo “quarto di stimolo” è un viaggio nel passato, recente, nella storia delle rinnovabili visto che si lega in maniera quasi simbiotica alla “calma piatta” che abbiamo avuto sulle rinnovabili dal 2015. Un fatto simbolico visto che l’Italia è stata tra i firmatari proprio nel 2015 dell’Accordo di Parigi per la lotta ai cambiamenti climatici.

E stiamo aspettando ancora le risorse alla ricerca per l’energia che il nostro governo si era impegnato a dare. Se le rinnovabili languono, e con loro tutti i settori industriali legati alle energie verdi che in tutto il mondo stanno letteralmente esplodendo, gli altri settori legati alla sostenibilità nel PNRR di sicuro non brillano. I trasporti, che hanno avuto un calo insignificante per quanto riguarda le emissioni climalteranti negli ultimi cinque anni, nel PNRR sono quasi tutti legati all’alta velocità, mentre l’economia circolare si ferma al ciclo dei rifiuti, mentre sull’aspetto autorizzativo, che è quello che frena le rinnovabili, si affronta il problema con una moltiplicazione delle competenze, ma soprattutto senza coinvolgere il Ministero dei Beni Culturali, che potrebbe rappresentare un problema. Il tutto senza che si veda all’orizzonte una radicale riforma degli strumenti operativi come il Pniec e la Strategia Italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra che andranno profondamente riscritti alla luce dei nuovi obiettivi.

Bene, anzi male. Se il bicchiere è vuoto per tre quarti è chiaro che non c’è da festeggiare ma nel frattempo ci si possono rimboccare le maniche per usare e presidiare quel 25%. Ed è ciò che abbiamo intenzione di fare noi del Coordinamento FREE. 

Si deve mettere mano al Pniec rendendolo molto, ma molto più ambizioso e poi semplificare il processo di semplificazione – e si tratta di una riforma a costo zero.

Oltre a ciò è necessario prestare una grande attenzione alle nuove filiere industriali per produrre valore e lavoro. Stando attenti a non ripetere errori recenti come quello del fallimento del solare termodinamico italiano con il quale si è buttate a mare una leadership mondiale per l’opposizione paesaggistica a due impianti di poche decine di ettari. Insomma fare un po’ di politica industriale. Cosa che il Pnrr non fa, visto che cade nella trappola dei compartimenti stagni che non comunicano tra di loro, tipica della burocrazia italiana. E il PNRR ora è a Bruxelles dove con ogni probabilità sarà validato così come è ora. Quindi la palla passerà ai dispositivi amministrativi e alle persone che avranno l’onere e l’onore di gestire nei prossimi anni l’attuazione vera del PNRR e che non potranno esimersi dall’investire nell’unico segmento che può offrire sviluppo di lungo periodo al paese: la sostenibilità. Se non si fa questo che è un vero e proprio salto culturale con ogni probabilità il PNRR non consoliderà nel tempo nemmeno quei tre/quattro punti di Pil aggiuntivi che prevede di realizzare nei prossimi anni.

di Livio de Santoli, presidente del Coordinamento FREE