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I limiti di sostenibilità della rimozione della CO2 basata sulla natura

Rimozione CO2 basata sulla natura: quando non è più sostenibile?
Foto di Luca Bravo su Unsplash

La rimozione della CO2 basata sulla natura è davvero sostenibile a priori?

(Rinnovabili.it) – Molti scenari emissivi proposti dall’ultimo rapporto dell’IPCC rispettano la soglia di 1,5 gradi di riscaldamento globale (con uno sforamento temporaneo più o meno corposo) facendo ricorso a soluzioni per la rimozione della CO2 basata sulla natura. Ma afforestazione, riforestazione, ripristino degli ecosistemi, agroforestazione, bioenergia con recupero di CO2 (BECCS) sono davvero sostenibili a priori? Oppure hanno dei limiti oltre i quali i loro benefici netti si riducono o, addirittura, creano più svantaggi che vantaggi?

A mettere in guardia sull’uso indiscriminato della rimozione della CO2 basata sulla natura è uno studio pubblicato su Science in cui gli autori calcolano la “fattibilità ambientale” e i “rischi di sostenibilità” per ciascuna delle soluzioni ventilate dall’IPCC. La conclusione? Fare affidamento in modo massiccio su queste soluzioni, come previsto dagli scenari emissivi meno ambiziosi tra quelli che rispettano 1,5°C, è controproducente. Queste soluzioni per la rimozione della CO2 “pongono anche importanti sfide di fattibilità economica, tecnologica e sociale; minacciano la sicurezza alimentare e i diritti umani; e rischiano di oltrepassare molteplici confini planetari, con conseguenze potenzialmente irreversibili”, sottolinea lo studio.

La rimozione di CO2 basata sulla natura è davvero sostenibile a priori?

Le soluzioni più critiche sono BECCS e ri-/afforestazione. Su cui il rapporto IPCC fa largo affidamento negli scenari dove i tagli alle emissioni avvengono più lentamente e in quantità non sufficienti a restare sotto la soglia di Parigi, ma sono compensate dal ricorso massiccio alla rimozione della CO2 basata sulla natura. Nello scenario con sforamento temporaneo maggiore degli 1,5°C, queste soluzioni dovranno togliere dall’atmosfera 5,1 miliardi di tonnellate di CO2 (GtCO2) l’anno nel 2050 (quasi il 50% in più delle emissioni totali dell’UE oggi) e 15,1 GtCO2 l’anno entro fine secolo, cioè quasi le emissioni attuali della Cina.

Lo studio condotto da un team internazionale di ricercatori da Francia, Australia, Germania e Stati Uniti calcola che tradurre in realtà questi obiettivi significherebbe destinare a BECCS e ri-/afforestazione 29 milioni di km2 a foreste e colture per produzione di bioenergia. Si tratta di un’area vasta 3 volte gli Stati Uniti. Con la conseguenza di spingere verso l’insicurezza alimentare almeno 300 milioni di persone in più per la competizione con la terra necessaria per colture destinate al consumo umano.

Altri rischi associati a un impiego su vasta scala di soluzioni naturali per la rimozione della CO2 includono perdita di biodiversità, meno sicurezza alimentare, un consumo maggiore di risorse idriche e possibili violazioni dei diritti umani. Per la BECCS, calcolano gli autori, la soglia di sostenibilità scatta a 1,2 GtCO2 l’anno, mentre quella per ri-/afforestazione a 3,8 GtCO2 e per tutte le altre soluzioni complessivamente a 5,1 GtCO2.

“La crisi climatica e quella della biodiversità sono due facce della stessa medaglia, e la rimozione su larga scala del biossido di carbonio non risolverà nessuno di questi problemi”, commenta Alexandra Deprez, prima autrice dello studio. “La rimozione del carbonio deve essere attuata con attenzione su scala molto più piccola rispetto agli attuali piani climatici e la maggior parte degli scenari climatici suggerisce, e insieme ad essa, un’eliminazione graduale rapida, giusta e ordinata dei combustibili fossili, se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi climatici”.

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