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Hot to Cold: la sostenibilità edonistica in mostra a Washington

hot to cold: la sostenibilita' edonistica in mostra a washington

(Rinnovabili.it) – Sulla scia del successo del Big Maze, il labirinto in legno progettato da Bjarke Ingels Group, che quest’estate ha fatto staccare ben 50.000 biglietti al National Building Museum di Washington, il museo alza il sipario sulla prima retrospettiva americana dedicata allo studio di progettazione danese, che della commistione tra l’architettura, la sostenibilità ed il rispetto per l’ambiente ha fatto il suo credo.

Nulla meglio del titolo della mostra HOT TO COLD: an odyssey of architectural adaptation riesce a sintetizzare l’approccio progettuale di BIG – Bjarke Ingels Group che considera il clima, il paesaggio, il contesto e la cultura di un luogo le uniche condizioni al contorno a cui la costruzione ha il dovere morale di sottostare e quindi di adattarsi. Dal caldo torrido del Qatar al gelo della tundra, sessanta modellini, video e fotografie di altrettante opere coinvolgono lo spettatore in un accattivante viaggio intorno al mondo e alla sua biodiversità, mostrandogli come un edificio sia in grado, di volta in volta, di risolvere il problema funzionale, semplicemente adattandosi all’ambiente che lo ospita, concependo se stesso innanzitutto nell’accezione primordiale di rifugio: uno schermo dal caldo ed un riparo contro il freddo.

Dal museo, all’abitazione, all’hotel, alla sala per concerti, al progetto urbanistico non emerge un carattere formale riconoscibile nelle opere esposte, riconducibili soltanto ad un eclettismo fortissimo: il sottile filo rosso che collega tutti i progetti dello studio BIG è semplicemente l’adattabilità al contesto nel nome della sostenibilità ambientale. E del resto come potrebbero essere tra loro comuni nei tratti e nelle intenzioni opere situate in realtà climatiche così diverse? Se la risposta progettuale è l’adattamento dell’organismo architettonico al clima, non potrà mai esserci un edificio simile all’altro, nell’esposizione, nei materiali impiegati, nell’altezza e nelle fonti di energia utilizzate per alimentarlo.  E’ ancora una volta l’ambiente che la fa da padrone: l’architettura può solo assecondarlo e celebrarlo.

Nell’era delle grandi mutazioni climatiche che sconvolgono il pianeta, nei giorni dei disastri ambientali e della ribellione della natura verso l’operato superficiale dell’uomo, all’architettura viene chiesto di risolvere il problema progettuale senza impoverire il pianeta delle scarse risorse energetiche ancora a disposizione, senza immettere nell’atmosfera sostanze nocive, evitando di utilizzare tecniche costruttive dannose per l’ambiente. L’opera di Bjarke Ingels si pone in aperta polemica con i dettami dell’International Style che consentivano di realizzare edifici con le stesse tecniche costruttive e con i medesimi materiali a Parigi, come in Marocco o in Scandinavia, avvalendosi del forte intervento dei neonati sistemi meccanici per il riscaldamento e per la climatizzazione, in nome di un design universale che forzava l’adattamento dell’edificio all’ambiente consumando moltissima energia. La strada indicata dal pluripremiato studio di architettura danese nell’ottica della risoluzione del problema dell’adattabilità e della costruzione energeticamente sostenibile, conduce alla riscoperta dell’architettura vernacolare, in un linguaggio da loro stessi ribattezzato Vernacular 2.0. Ogni luogo del pianeta in cui si va ad intervenire è intessuto di una cultura architettonica che, utilizzando materiali reperibili sul territorio ed avvalendosi di tecniche costruttive adeguate al clima locale, è sempre riuscita a fornire in modo naturale soluzioni progettuali concrete. Bjarke Ingels ed i progettisti che lo affiancano da più di dieci anni riscoprono i caratteri vernacolari delle architetture locali e filtrandoli con le conoscenze e le tecnologie dei nostri giorni, realizzano edifici che per forma, inclinazione, disposizione delle bucature e degli aggetti, particolare attenzione nell’utilizzo dei materiali e delle risorse energetiche, rispecchiano le condizioni ambientali locali. Se poi con questa base comune, di volta in volta, si riesce a creare un’estetica nuova ed intrigante, non si può negare ad i giovani progettisti danesi di aver fatto bingo, di aver trovato la strada per raggiungere quella che loro stessi chiamano “sostenibilità edonistica”, dove l’estetica del progetto è semplicemente modellata dal contesto.

Sessanta modelli, tra opere realizzate, edifici in costruzione e progetti, in esposizione fino al 30 Agosto 2015, cercano di mostrare al mondo se questi siano esercizi di stile o una grande lezione di architettura. Le fotografie di Iwan Baan ed i video di Ila Bêka e Louise Lemoine ci introducono nel termovalorizzatore di Copenaghen che smaltendo rifiuti alimenta una pista da sci, nell’isola di Zira nel mar Caspio, un’oasi completamente eco-sostenibile nel regno del Petrolio, o nella nuova National Gallery della Groenlandia dove un edificio viene letteralmente colato sul territorio per fondersi e plasmarsi con il terreno stesso.

Le opere dell’architetto sognatore, che ha tracciato nel rispetto per l’ambiente la via per una nuova estetica eco-sostenibile, sono esposte nella sala centrale del National Building Museum di Washington, sospese alla grande balconata della hall, quasi a volersi ancora una volta sottomettere al contesto che le ospita: è la mostra che fa da cornice all’architettura del museo, adattandosi, così come le opere di Bjarke Ingels si plasmano sull’ambiente che le racchiude.  HOT TO COLD: an odyssey of architectural adaptation.

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