A Circonomia, il festival dell’economia circolare e della transizione ecologica, presentato il dossier sulle legislazioni anti greenwashing di Italia, Francia, Germania, Regno Unito e USA. Analizzati anche gli strumenti sovranazionali di ONU e UE
Strategie di sostenibilità o greenwashing?
(Rinnovabili.it) – Durante il festival dell’economia circolare e della transizione ecologica Circonomia ha presentato il suo rapporto sul greenwashing e le legislazioni volte a contrastarlo. Analizzati gli strumenti messi in campo in Italia, Francia, Germania, Regno Unito e USA, ma anche da organismi sovranazionali come ONU e UE. “Sconfiggere il greenwashing è un passaggio obbligato per dare senso, futuro e piena efficacia all’idea stessa della transizione ecologica. Smascherare questa pratica, spesso basata su vere e proprie fake-news, conviene non solo a cittadini, consumatori ed ecologisti, ma anche e soprattutto alle imprese che sono realmente eco-friendly”, ha dichiarato Francesco Ferrante di Circonomia.
L’attenzione all’ambiente e alla sostenibilità sono divenute parte integrante delle strategie aziendali ed è sempre più urgente poter discernere i reali impegni alla riduzione degli impatti e le operazioni di marketing che nascondono soltanto greenwashing. Molte aziende annunciano svolte green che però si limitano al mero piano comunicativo, specchietto per le allodole spesso volto a mascherare assenza di impegni o addirittura impatti negativi.
Negli ultimi anni il fenomeno è talmente diffuso che molti Paesi si sono dotati di strategie o legislazioni per il contrasto del greenwashing: lo scorso 27 maggio Circonomia ha presentato un dossier sull’efficacia di questi strumenti in Italia, Francia, Germania, Regno Unito e USA. I dati analizzano anche il contesto sovranazionale, a partire da Nazioni Unite e Unione Europea.
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Come le legislazioni ci proteggono dal greenwashing?
Guardando al contesto italiano, nel 2014 l’Istituto Autodisciplina Pubblicitaria ha introdotto una serie di regole sulla comunicazione corretta sulla tutela ambientale. Lo scopo della misura è proteggere i consumatori dal greenwashing ma non si tratta di strumenti sempre efficaci. Uno dei problemi è di certo l’assenza di standard uniformi volti a sostanziare le regole. è quello che è accaduto, ad esempio, per i prodotti in plastica. Da quando è entrata in vigore la Direttiva Single Use Plastic (SUP), nel nostro Paese e negli altri stati membri è vietata l’immissione sul mercato di prodotti in plastica monouso: molte aziende si sono adeguate, ma alcune lo hanno fatto solo a parole. Gli italiani hanno cominciato a trovare sugli scaffali dei propri supermercati una serie di prodotti che, a prezzi relativamente contenuti, si annunciano come riutilizzabili ma che spesso non lo sono. Stoviglie, contenitori o posate in genere etichettati come “sostenibili”, ma che non solo non possono essere riutilizzati, ma non sono nemmeno compostabili.
Nel mondo molti governi e autorità sovranazionali stanno approntando legislazioni contro il greenwashing. L’autorità di vigilanza della Borsa negli Stati Uniti (Sec) nelle scorse settimane ha emanato una bozza di linee guida per la definizione delle informazioni che ogni fondo di investimento deve fornire quando vuole qualificarsi come “sostenibile”, “low carbon” o “Esg”. In Unione Europea, a partire dal Green Deal e da molte delle direttive emanate negli ultimi anni, sono in via di elaborazione una serie di misure che guardano alla tutela dei consumatori e alle regole per i produttori.
Il rischio di greenwashing riguarda anche la finanza: molte aziende quotate si rifanno a dichiarazioni ambigue rispetto ai criteri ESG. A partire da questo dato l’ESMA (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) ha elaborato una definizione più accurata di tali criteri, per garantire il fatto che i fondi che si dichiarano green lo siano realmente. La minaccia di greenwashing riguarda infatti anche l’espansione dei Green Bond, per il quali la Commissione UE ha stabilito l’European Green Bond Standard (EUGBS).
Norme anti greenwashing in Europa
In Europa molti Paesi hanno istituito le proprie legislazioni contro il greenwashing.
Recentemente la Bundesanstalt Für Finanzdienstleistungsaufsich (BaFin) (Ufficio federale di vigilanza dei servizi finanziari tedesco) ha presentato le proprie linee guida, ma questo non tutela automaticamente i cittadini dalla pubblicità ingannevole. Il report di Circonomia cita infatti il caso di Adidas, che nel 2021 ha pubblicizzato le proprie scarpe Stan Smith (riciclabili solo al 50%) con lo slogan:“Always iconic. Now more sustainable”.
La Francia lo scorso luglio ha adottato la “Legge sul clima e sulla resilienza”, che contiene misure più accurate per la difesa dal greenwashing, ma anche qui ci sono stati casi emblematici, come le banche impegnate in investimenti su fonti fossili che si sono pubblicamente presentate come green.
Nel Regno Unito le legislazioni contro il greenwashing hanno visto l’impegno della Competition and Market Authority (CMA) e del Committee of Advertising Pratice, che insieme hanno stabilito una regolamentazione pubblicitaria particolarmente vincolante su temi e sfide ambientali. Nel Paese, del resto, sono stati denunciati diversi casi di greenwashing. Il più noto è stato quello della compagnia aerea Ryanair, che in un rapporto UE è stata inserita tra i dieci primi produttori di CO2 ma che, pubblicamente, ha annunciato di avere “basse emissioni di CO2” e di essere la compagnia che ne produce la quota minore.
Norme contro il greenwashing negli USA
Negli Stati Uniti l’ente federale per la vigilanza della borsa valori ha di recente intrapreso un percorso di monitoraggio dei fondi di investimento.
L’attenzione al greenwashing e il tentativo di dotarsi di strumenti e legislazioni volti a contrastarlo caratterizza infatti la storia americana da diversi decenni. Nel 1992 sono state elaborate le Green Guides, le linee guida verdi a opera della Federal Trade Commission, l’agenzia governativa che tutela i consumatori.
Risale al 2021 l’istituzione della Climate and Environmental, Social and Governance Task Force, il cui scopo è individuare in maniera stringente i criteri ESG (Environmental, Social and Governance).
Uno dei casi che ha riscosso più attenzione mediatica è quello del fondo DWS della Deutsche Bank, accusata di aver “gonfiato” le performance ESG di una serie di investimenti presentate ai clienti come sostenibili: lo ha svelato un’inchiesta condotta dalla Securities and Exchange Commission e la BaFin, l’autorità federale per la supervisione del settore finanziario tedesco.