Un rapporto di New Climate Institute e di Carbon Market Watch rivela l’abisso che separa le promesse dalle politiche aziendali concrete per 25 colossi mondiali. Da Google ad Amazon, da Unilever a Nestlé, pochissimi i promossi e molti i bocciati senza appello
“Dimenticare” up o downstream è la pratica di greenwashing più comune
(Rinnovabili.it) – Cos’hanno in comune compagnie come Nestlé e JBS, Novartis e Unilever, Carrefour e BMW, Google e Amazon? Fatturati stellari che le proiettano in cima alla classifica delle più grandi aziende al mondo. E luccicanti promesse green che non trovano molto riscontro nella realtà. Altro che neutralità di carbonio entro metà secolo: a esaminare nel dettaglio le azioni concrete di 25 delle maggiori società globali, in media, la riduzione delle emissioni si ferma al 40%. Tutto il resto? Greenwashing.
La distanza tra promesse e realtà è drammaticamente ampia, rivela un rapporto preparato dal New Climate Institute insieme a Carbon Market Watch. “Ci siamo proposti di scoprire il maggior numero possibile di buone pratiche replicabili, ma siamo rimasti francamente sorpresi e delusi dall’integrità complessiva delle affermazioni delle aziende”, commenta Thomas Day del New Climate Institute.
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Le dichiarazioni delle compagnie non possono quasi mai essere prese per vere. Basta scavare un po’ e affiorano impegni diversi, più laschi, rispetto a quelli annunciati. Solo in un caso la trasparenza dell’azienda è soddisfacente, concludono gli autori del dossier. Si tratta del colosso dello shipping Maersk, che se da un lato promette net zero e neutralità di carbonio entro il 2050, dall’altro lato è su un percorso che porterà ad abbattere davvero le emissioni di oltre il 90%.
Subito dopo vengono Apple, Sony e Vodafone, classificate come aziende a “moderata integrità”. Le successive 10 sono a “bassa integrità” mentre in coda alla classifica si trovano 12 compagnie con integrità “molto bassa”.
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Dove sta l’operazione di greenwashing? Quasi sempre nel dichiarare un obiettivo senza applicarlo all’intera catena del valore. Almeno 5 delle aziende analizzate, ad esempio, non conteggiano realmente i segmenti upstream o downstream e ridurranno effettivamente le loro emissioni di appena il 15%.
Oppure nel ricorso estensivo alle compensazioni. “24 aziende su 25 faranno probabilmente affidamento su crediti di compensazione, di qualità variabile. Almeno due terzi delle aziende si basano su rimozioni da foreste e altre attività biologiche, che possono essere facilmente invertite, per esempio, da un incendio boschivo”, si legge nel rapporto. O ancora, usando come anno di base per calcolare il taglio uno con emissioni particolarmente elevate, come fa CVS Health.
“Siamo ingannati nel credere che queste aziende stiano prendendo misure sufficienti, quando la realtà è ben lontana da ciò”, commenta Gilles Dufrasne di Carbon Market Watch. “Senza più regolamentazione, questa situazione continuerà. Abbiamo bisogno che i governi e gli organismi di controllo si facciano avanti e mettano fine a questa tendenza al greenwashing”.