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Green claims e greenwashing: nuovi obblighi per le imprese in materia di dichiarazioni ambientali e di sostenibilità

Green claims e greenwashing
Green claims. Via depositphotos

a cura di Barbara Klaus e David Vaccarella, Rödl & Partner

Green claims e greenwashing

Nonostante le assonanze, green claims e greenwashing sono concetti distinti che vale la pena definire. Per “green claims” o “asserzioni ambientali” si intendono le dichiarazioni, volontariamente divulgate dalle aziende, intese a suggerire che un proprio prodotto o servizio ha un impatto positivo, non ha un impatto negativo o ha un impatto meno negativo sull’ambiente rispetto ad altri prodotti o servizi presenti sul mercato. Si pensi ad esempio agli annunci pubblicitari e alle etichette che identificano i prodotti come “100% riciclabili”, “clima-neutrali”, o “sostenibili”, influenzando non poco le nostre scelte di acquisto e di consumo.

Costituiscono invece pratiche di “greenwashing” tutti i casi di uso improprio e/o ingannevole di dichiarazioni “green”, dirette a rappresentare, in modo fuorviante, un’immagine di sostenibilità e proprietà green che non riflettono le reali caratteristiche di un prodotto, di un servizio o addirittura di un marchio o di un’azienda. 

La Direttiva Greenwashing: le asserzioni ambientali devono essere verificate o verificabili

La Direttiva UE 2024/825, conosciuta anche con il nome di “Greenwashing Directive”, modifica le Direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE con l’obiettivo di rafforzare il corretto funzionamento del mercato interno e contrastare le pratiche commerciali sleali che ingannano i consumatori e impediscono loro di compiere scelte di consumo consapevole e sostenibile. In tale prospettiva, la Greenwashing Directive integra, innanzitutto, l’elenco delle pratiche commerciali vietate contenuto nella Direttiva 2005/29/CE, includendovi, tra le altre, le strategie aziendali che potrebbero dare vita a pratiche di greenwashing, che la Direttiva definisce chiaramente “asserzioni ambientali ingannevoli”.

Più nel dettaglio, le nuove norme stabiliscono che i green claims devono considerarsi vietati ogniqualvolta non siano supportati da una certificazione ambientale o non sia possibile per l’impresa dimostrarne un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali. Di più: ogni asserzione ambientale dovrà essere appurata sulla base delle caratteristiche ambientali e sociali del prodotto a cui si riferisce nonché soggetta ad un’attenta analisi in merito alla “circolarità”, intesa come “durabilità”, “riparabilità” e “riciclabilità” del bene.

Tutte le future dichiarazioni sulle prestazioni ambientali dovranno fare riferimento ad impegni aziendali chiari, specifici ed oggettivi, resi disponibili da parte dell’azienda stessa e verificabili in ogni momento. Tali obiettivi saranno soggetti a verifiche periodiche da parte di un ente terzo ed indipendente, le cui osservazioni dovranno, inoltre, essere messe a disposizione dei consumatori.

Le prescrizioni normative già in vigore in tema di contrasto al greenwashing

Gli Stati Membri dovranno recepire le prescrizioni della Direttiva Greenwashing entro il 27 settembre 2026. Già oggi, però, i green claims devono rispettare i requisiti della Direttiva 2005/29/CE e quindi essere chiari, specifici, veritieri e di facile comprensione. Anche i claim generici come “eco”, “verde” o “ecologico” possono risultare ingannevoli se non supportati da prove concrete. Le imprese devono quindi assicurarsi sin d’ora che le proprie dichiarazioni ambientali non siano ingannevoli per evitare di porre in essere pratiche di concorrenza sleale e, conseguentemente, rischiare di vedersi irrogare sanzioni, potenzialmente molto ingenti.

Gli adempimenti richiesti alle imprese secondo la proposta di Direttiva sui “Green Claims”

Se la Direttiva UE 2024/825 è già pubblicata e pienamente in vigore (in attesa solo di essere recepita dagli Stati Membri), la Direttiva Green Claims avente ad oggetto l’attestazione e comunicazione delle asserzioni ambientali esplicite, costituisce ancora una mera proposta in fase di discussione. È tuttavia opportuno considerare sin da questo momento che, se approvata, la Direttiva Green Claims introdurrà ulteriori obblighi di legge, estremamente rigorosi: i green claims dovranno infatti essere verificati da enti terzi; essere fondati su prove scientifiche; specificare se riferibili all’intero prodotto o una parte di esso; indicare la significatività dell’impatto ambientale evitato; provare che le caratteristiche green o ESG del prodotto pubblicizzate non rispondono a un mero obbligo di legge; quando comparativi, basarsi su parametri equivalenti a quelli dei concorrenti.

Non solo. La Proposta di Direttiva mira altresì a regolamentare l’uso dei marchi ambientali, dei sistemi di etichettatura e delle “certificazioni” delle dichiarazioni: la fase di monitoraggio di conformità ambientale dei prodotti e servizi dovrà infatti essere svolta sulla base di norme e procedure internazionali o nazionali definite e dovrà essere gestita da un soggetto terzo che sia indipendente dal titolare del sistema e da colui al quale si richiede la certificazione.

Alcune riflessioni conclusive

Lo scopo del legislatore europeo è chiarissimo e lodevole: coinvolgere le aziende in un percorso di transizione ecologica e di sostenibilità, proteggendo al contempo i consumatori dall’utilizzo improprio e fuorviante di parole che evocano caratteristiche di sostenibilità (ambientale e non) in realtà insussistenti o non comprovabili. È tuttavia indubbio che le imprese dovranno conformarsi ad obblighi anche stringenti, quali la revisione dei processi aziendali in materia di dichiarazioni ambientali, in un contesto in cui i doveri di diligenza in materia di sostenibilità divengono via via più pervasivi (e corroborati da laute sanzioni e responsabilità in caso di violazioni), alla luce della oramai ben nota Corporate Sustainability Due Diligence Directive pubblicata lo scorso 5 luglio.

Nello specifico è quindi consigliabile approntare da subito tutte le misure necessarie per garantire la piena conformità delle proprie dichiarazioni ambientali. Ad esempio, le aziende potrebbero già iniziare a comprovarle e farle verificare da terzi indipendenti. Le dichiarazioni generiche non giustificate dovrebbero essere evitate e andrebbe verificato che l’utilizzo di marchi di sostenibilità rispetti già i requisiti della Direttiva (UE) 2024/825.

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