Il 2 febbraio si celebra il World Wetlands Day 2024
(Rinnovabili.it) – Paludi e acquitrini, torbiere, praterie umide, piane di marea, foreste di mangrovie. Ma anche stagni, risaie, saline e altri bacini artificiali creati dall’uomo. Questi ecosistemi, le zone umide, occupano appena il 6% della superficie del Pianeta, un’area estesa più del doppio dell’Unione Europea. Ma da loro dipende il 40% delle specie animali e vegetali della Terra. Per ricordarne l’importanza per la biodiversità, lo stato di salute del Pianeta e i servizi ecosistemici che offrono all’uomo, e per sensibilizzare alla loro tutela, oggi, 2 febbraio, si celebra la Giornata mondiale zone umide 2024 (World Wetlands Day 2024).
Giornata mondiale zone umide 2024, l’importanza per il benessere umano
Il tema di quest’anno è “Zone umide e benessere umano”. Un nesso cruciale. “Quest’anno, la Giornata Mondiale delle Zone Umide ci ricorda che la nostra salute dipende dalla salute delle zone umide”, ricorda Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’Unep, l’Agenzia Onu per la protezione dell’ambiente. Questi ecosistemi immagazzinano l’acqua durante i periodi di siccità, assorbono l’acqua durante le inondazioni, filtrano gli inquinanti e aiutano a fornire acqua potabile pulita e acqua per le colture.
“Ma la verità è che viviamo in un’epoca di degrado idrico e di crescente stress idrico. Pertanto, fornire soluzioni basate sulla natura che proteggano, ripristino e gestiscano in modo sostenibile le zone umide è più importante che mai”, sottolinea ancora Andersen. Le zone umide, infatti, sono tra gli ecosistemi con i più alti tassi di degrado e scomparsa al mondo.
Il degrado delle zone umide, l’allarme del World Wetlands Day 2024
Qual è la situazione oggi? Negli ultimi anni diversi studi hanno provato a fotografare lo stato di salute delle zone umide mondiali, dando numeri diversi in base ai metodi di calcolo impiegati. La valutazione dell’Ipbes, l’organizzazione scientifica internazionale per la biodiversità, stimava nel 2018 che negli ultimi 300 anni – cioè dall’inizio dell’età industriale – sia già scomparso l’87% delle wetlands. Circa il 54% è andato perduto solo negli ultimi 120 anni, dal 1900. E le aree dove il tasso di perdita si fa più sentire oggi sono il sud-est asiatico e la regione africana del Congo, principalmente a causa dell’espansione delle piantagioni di palma da olio.
Questi dati sono però messi in dubbio da altri studi più recenti, perché si affiderebbero troppo ai valori (rilevati puntualmente) di aree come Europa e Stati Uniti per estrapolare il tasso di perdita di zone umide nel resto del mondo, incluso nei paesi più a rischio. Ricalcolando con una metodologia diversa, uno studio di febbraio 2023 dell’università di Stanford e del Politecnico di Zurigo fissa il totale di wetlands perse dal 1700 al 2020 a 3,4 milioni di km2, cioè circa il 21% del totale mondiale. Molto meno del valore indicato dall’Ipbes, ma pur sempre un’area grande ¾ dell’intera UE.
In ogni caso, il trend di degrado continua a peggiorare. Oggi le zone umide stanno scomparendo tre volte più velocemente delle foreste e rappresentano l’ecosistema più minacciato della Terra. E si prevede che la tendenza peggiorerà ancora, spinta da fattori diretti e indiretti tra cui la rapida crescita della popolazione umana, produzione e consumo non sostenibili e lo sviluppo tecnologico associato, nonché gli impatti negativi dei cambiamenti climatici. Le attività umane che portano alla perdita delle zone umide includono, tra le altre, il drenaggio e il riempimento di wetlands per l’agricoltura e l’edilizia, l’inquinamento, la pesca eccessiva e lo sfruttamento eccessivo delle risorse, l’espansione delle specie invasive favorite dal commercio globale e il cambiamento climatico antropico.
Uno sguardo all’Italia: -75% zone umide
Anche l’approccio “conservativo” dello studio di Stanford e Zurigo accendeva il semaforo rosso per il Belpaese. Dal ‘700 a oggi, l’Italia ha perso più del 75% delle sue zone umide: è uno dei paesi al mondo dove è più estesa la scomparsa di questi ecosistemi. Nel vecchio continente il paese con i dati peggiori è l’Irlanda con una perdita superiore al 90%, seguita da Germania, Lituania e Ungheria con oltre l’80%, e poi Gran Bretagna e Olanda a pari merito con l’Italia.
Al di là del dato storico, l’attenzione per il ripristino e la tutela delle zone umide nazionali è carente. Lo sostiene Legambiente nel rapporto, rilasciato ieri, sugli “Ecosistemi acquatici 2024”. Pesano i ritardi nell’istituzione di nuove aree protette, mentre sono ancora 9 le zone umide in attesa di essere riconosciute secondo la Convenzione di Ramsar, denuncia l’associazione del Cigno Verde. Roma è anche in ritardo nell’applicazione del Regolamento UE 2021/57 che vieta l’uso delle munizioni di piombo, che può costare al Paese una procedura di infrazione UE. E non si vede all’orizzonte il decreto per definire le autorizzazioni in deroga alle immissioni ittiche di specie alloctone.
“L’Italia — dichiara Antonio Nicoletti, Responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente — è tra i più ricchi di biodiversità nel contesto europeo ma è caratterizzata dalla mancanza di una seria e coerente azione politica in grado di far fronte ai crescenti rischi di degrado per gli ecosistemi: dal consumo di suolo alla perdita di biodiversità aggravata dalla crisi climatica, dal contrasto dei rischi di siccità e desertificazione all’inquinamento e alle minacce legate alla deregulation venatoria”.