Rinnovabili • Gas naturale liquido: il boom fa deragliare il Paris agreement

Il boom di gas naturale liquido affossa gli 1,5 gradi

La nuova capacità di Gnl in costruzione, approvata e proposta genererebbe 40 Gt CO2e da qui al 2050: il 10% del budget di carbonio che ci resta. L’offerta di Gnl in eccesso sui target climatici potrebbe crescere fino a 5 volete i volumi di gas importati in UE dalla Russia nel 2021

Gas naturale liquido: il boom fa deragliare il Paris agreement
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Si rischia di avere fino a 500 Mt di gas naturale liquido in eccesso sui mercati

(Rinnovabili.it) – La corsa globale al Gnl innescata dalla guerra in Ucraina può “compromettere seriamente” l’obiettivo degli 1,5 gradi. Se tutta la nuova capacità di gas naturale liquido in costruzione, approvata e proposta viene realizzata, genererà almeno 1,9 mld di t di CO2 equivalente (Gt CO2e) più di quante ce ne possiamo permettere per rispettare l’obiettivo più ambizioso di Parigi. Entro metà secolo, le emissioni cumulative di un settore Gnl sotto steroidi arriverebbero a circa 40 Gt CO2e, cioè il 10% del budget di carbonio complessivo che ci resta per gli 1,5°C.

L’espansione del gas naturale liquido

Una reazione alla crisi energetica in corso che appare del tutto sproporzionata rispetto alla necessità di agire in fretta contro la crisi climatica. Il grosso del boom espansivo del gas naturale liquido potrebbe avvenire negli anni che ci separano dal 2030. Per quella data, l’offerta di Gnl in eccesso rispetto alla traiettoria per gli 1,5 gradi rischia di essere di 500 mln t (Mt). Cioè più di 5 volte la quantità di gas che l’Europa ha importato dalla Russia nel 2021, prima delle riduzioni progressive legate allo sviluppo del conflitto in Ucraina. Se si preferisce guardarlo dal lato dell’export: un volume pari al doppio di quanto Mosca esporta(va) in tempi normali.

“La corsa all’oro del gas continua ed è controproducente per l’Accordo di Parigi”, scrivono gli analisti di Climate Action Tracker, che hanno aggiornato le proiezioni di riscaldamento globale a novembre 2022 in un rapporto presentato ieri alla COP27 di Sharm el-Sheikh. La guerra “ha spinto i governi ad affannarsi per rafforzare la sicurezza energetica”, ma la loro reazione è calibrata male: “in molti casi  stanno raddoppiando l’uso dei combustibili fossili – la causa stessa della crisi climatica – facendo scendere l’azione per il clima nell’agenda politica, nonostante il fatto che le energie rinnovabili, l’efficienza e l’elettrificazione siano di gran lunga le opzioni più economiche, veloci e sicure”. Questa reazione ha una dimensione globale. Anche perché le paure dei governi sulla sicurezza energetica vengono sfruttate dall’industria fossile: “In tutto il mondo, l’industria del petrolio e del gas sta spingendo il gas fossile come via d’uscita dalla crisi”.

La curva del riscaldamento globale

Un aumento dell’uso delle fossili che non viene neppure lontanamente compensato dai pochi, insufficienti nuovi target nazionali. Dalla COP26 a oggi solo una manciata di paesi ha presentato nuovi Contributi Nazionali Volontari (NDC), ma le nuove promesse incidono in modo trascurabile sulla traiettoria del riscaldamento globale. Che resta invariata rispetto a quanto calcolato da Climate Action Tracker l’anno scorso.

Con le politiche attuali andiamo verso un mondo 2,7 gradi più caldo (con margini d’errore che disegnano una forchetta tra 2,2 e 3,4°C). Se si considerano gli NDC al 2030, il termometro globale salirà di 2,4°C (1,9-2,9°C). Supponendo che siano implementate anche le loro versioni rafforzate con gli elementi condizionali e le promesse al 2050, il global warming a fine secolo arriverebbe a 2 gradi (1,6-2,5°C). Nel migliore dei casi, con tutti gli NDC e le strategie a lungo termine perfettamente realizzate – un caso evidentemente improbabile – il mondo andrebbe verso +1,8 gradi (1,5-2,3°C).

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