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Italia e Germania vogliono sfruttare il 2° giacimento di gas di scisto più grande al mondo

Gas e GNL 2022
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L’Argentina vuole investimenti europei per il sito di Vaca Muerta

(Rinnovabili.it) – Il presidente argentino “mi ha illustrato per sommi capi un progetto di trasporto e liquefazione” di gas in Argentina, e “noi lo esamineremo e vedremo se ci sono le condizioni per proseguire”. Al termine del G7 di Elmau che aveva appena reintrodotto la possibilità di investire in infrastrutture gasiere all’estero, il premier Mario Draghi ha confermato l’interesse dell’Italia per un progetto sul Gnl in America Latina. La stessa conferma è arrivata anche dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, che avrebbe deciso di mettere già al lavoro i gruppi tecnici per valutare l’opera. Di cosa si tratta? Di sfruttare il secondo giacimento di gas di scisto più grande del mondo (e il 4° per lo shale oil), Vaca Muerta, nella provincia argentina di Neuquèn. Una mossa che non sembra compatibile con gli obiettivi sul clima europei, oltre a non aiutare in tempo a sostituire il gas russo.

Il giacimento di Vaca Muerta

Vaca Muerta è uno dei giacimenti di gas di scisto e oli da scisti bituminosi più in rapida crescita al mondo. Tra 2020 e 2021 la produzione di shale oil è cresciuta del 25% con un trend in continuo aumento, mentre per il gas è addirittura raddoppiata fino a 1,6 miliardi di piedi cubi al giorno lo scorso agosto.

Nonostante le grandi riserve di idrocarburi, è però un giacimento poco sfruttato (al 50%). I progetti per portare gas e petrolio non convenzionali nel resto del paese (e verso un porto sull’Atlantico per l’esportazione) si sono arenati più volte negli ultimi anni. Due settimane fa, a metà giugno, Fernandez ha rispolverato il dossier della pipeline “Nestor Kirchner”, 1000 km di gasdotto proposto una prima volta nel 2018. E poi arenato per dubbi sulla fattibilità e latitanza degli investitori. Ed è proprio questo dossier che Fernandez ha sventolato davanti a Draghi e Scholz.

Dossier riadattato alle circostanze attuali, con un’Europa che ha bisogno di svincolarsi dal gas russo trovando in fretta delle alternative. Alla pipeline si aggiunge così un impianto di liquefazione per l’esportazione dello shale sotto forma di Gnl verso i porti del vecchio continente.

Abbiamo bisogno del maxi progetto sul gas di scisto argentino?

La domanda che in molti si fanno è: abbiamo davvero bisogno di un’opera del genere? Qual è la sua utilità nell’abbandono del gas russo? I volumi di Gnl argentino potrebbero supportare la transizione europea anche negli anni successivi o sono ridondanti?

Partiamo dalla tempistica, l’aspetto più pressante in questi mesi. Per aiutare l’Europa ad allontanare gli spettri di Mosca, il Gnl argentino dovrebbe poter arrivare nel giro di pochissimo tempo. L’Italia prevede di emanciparsi dal gas russo entro fine 2024, fra 2 anni e mezzo. Anche Berlino ha fissato il 2024 come obiettivo. Sempre che il Cremlino non decida di chiudere i rubinetti prima.

In ogni caso, nel breve termine il Gnl non è d’aiuto. Servono in media 4 anni per costruire un impianto di liquefazione, il che sposta la data del primo carico di gas verso l’Europa a non prima del 2026. E anche se fosse disponibile prima, resta ancora da valutare quanto l’Europa riuscirà ad espandere la capacità dei propri rigassificatori, anche con navi metaniere adibite a FSRU.

Se non come soluzione immediata, il Gnl argentino può servire nel medio termine o è d’intralcio alla transizione energetica? Per rispondere bisogna considerare diversi fattori. L’Europa con il piano RePowerEU prevede di aver bisogno di 50 miliardi di metri cubi di Gnl in più l’anno da qui al 2025 per dire addio al gas russo. Da quella data, però, i volumi si iniziano a ridurre, per effetto dell’espansione delle rinnovabili, delle pompe di calore, e dell’efficientamento energetico. Fra il 2030 e il 2033, i volumi aggiuntivi di Gnl dovrebbero diventare inutili, ha calcolato E3G. Mentre gli investimenti nel progetto di Vaca Muerta hanno tempi di payback decisamente più dilatati: tra il 2041 e il 2047. C’è quindi un rischio molto elevato di investire in stranded asset, o di incatenare l’Europa a livelli emissivi più alti del necessario nei prossimi decenni.

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