Stralciati 2 articoli su 60 – i più importanti – per riuscire a far firmare a tutti il comunicato finale. Dal documento manca la data per il phase out del carbone e un riferimento chiaro alla soglia degli 1,5°C con il grosso degli sforzi climatici da compiere entro il 2030. Adesso sarà un salto nel buio verso la COP26 di Glasgow
Il G20 Clima senza intesa su carbone, finanza climatica, lotta al climate change
(Rinnovabili.it) – Nessuna data per l’addio al carbone. Fallito anche il blitz per allineare tutti i paesi sull’obiettivo più ambizioso dell’accordo di Parigi, gli 1,5°C di riscaldamento globale. Sui punti più importanti il G20 Clima di Napoli ha fatto flop. Tanto che il comunicato finale è monco. Proverà a mettere una pezza il vertice finale di ottobre a Roma, con i capi di Stato e di governo.
Il livello degli impegni presi al G20 Clima di Napoli è importante in chiave COP26. Mancano solo 100 giorni all’appuntamento di Glasgow e l’incontro nel capoluogo partenopeo è l’ultimo prima del gran finale in Scozia. Un comunicato realmente ambizioso, capace di mettere d’accordo paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, avrebbe gettato le basi per un buon accordo alla COP. “Il G20 pesa per l’80% di tutte le emissioni globali”, ha ricordato la segretaria generale dell’UNFCCC Patricia Espinosa. “Non esiste una via verso gli 1,5°C senza il G20”.
I pontieri hanno fallito
Ma non è andata proprio così. Il documento finale ha fatto pochi progressi rispetto alle bozze iniziali nonostante la maratona notturna di negoziati che si è prolungata durante la mattina del 23. In tarda mattinata lo stallo era palese, il linguaggio ancora poco ambizioso e le formule di compromesso latitavano. Per sbloccare i negoziati il titolare del MiTE Cingolani e l’inviato USA per il clima John Kerry hanno fatto il giro delle delegazioni e si è passati a trattare al massimo livello cioè direttamente tra ministri. Buco nell’acqua, seguito da un ultimo tentativo del padrone di casa con incontri bilaterali.
La spaccatura è rimasta. Più o meno la stessa che già era trapelata prima del vertice per come era emersa dal lavoro preparatorio degli sherpa. Da un lato i paesi del G7, che vengono dal recente appuntamento in Cornovaglia e hanno già integrato politiche climatiche ambizione nei propri piani di ripresa. Dall’altro lato paesi come Cina, India, Brasile e Arabia Saudita che non si vogliono sobbarcare il peso di una transizione costosa e rimarcano che la responsabilità principale del cambiamento climatico è dei paesi di lunga industrializzazione. Sono loro, spiega Cingolani in conferenza stampa, ad aver messo veti e tarato al ribasso l’ambizione.
Cosa (non) ha deciso il G20 Clima
Il comunicato finale non ha più 60 articoli, ma solo di 58. I 2 mancanti – proprio quelli sulla lotta al cambiamento climatico – sono stralciati. Altrimenti non tutti i paesi avrebbero firmato il documento conclusivo. La presidenza italiana spiegherà con dovizia di dettagli chi ha frenato, su quali punti e perché in un secondo momento.
Ma intanto: l’impegno sul global warming resta vago, con questa formulazione: “sicuramente sotto i 2°C, come nell’accordo di Parigi”, riferisce Cingolani alla stampa. La presidenza italiana puntava a ricomporre la frattura tra i paesi del G20. Su questo punto non ci è riuscita. Si voleva un impegno comune sugli 1,5°C, la soglia più ambiziosa di Parigi. E un’accelerazione: l’orizzonte per allinearsi a questa soglia anticipato al 2030 (o almeno, entro questa data “fare il grosso del lavoro”, sintetizza il titolare del MiTE). Via che probabilmente indicherà anche il nuovo rapporto IPCC in pubblicazione tra agosto e marzo prossimo. Ma è stata cassata anche l’accelerazione del target di Parigi, che doveva essere condensata nell’espressione “entro questa decade”.
L’altro articolo stralciato riguarda il carbone. Il G20 Clima di Napoli non ha trovato l’intesa sulla data del phase out della fonte fossile più inquinante. A remare contro sono stati soprattutto Cina, India e Russia. Gli sherpa italiani hanno provato una mediazione, puntando sullo stop agli incentivi (salvandoli però se si smantellano gli impianti più inquinanti) invece che sulla data ultima. Cassato anche questo tentativo.
Cingolani prova a fare la solita iniezione di ottimismo: “Quattro mesi fa questi paesi non volevano nemmeno sentir parlare di questi temi, adesso tutti accettano che il phase out delle fossili è necessario anche se restano disaccordi sui tempi”. Ma il punto è proprio questo: la qualità delle intese sul clima, ormai, non la fanno tanto i contenuti quanto le tempistiche per raggiungere gli obiettivi.
Sul capitolo finanza climatica, poi, manca del tutto l’ambizione necessaria per tirare la volata alla COP26. Si ripete il riferimento alla somma di 100 miliardi di dollari l’anno, cioè l’impegno preso nel lontano 2009 dai paesi più avanzati (e ampiamente disatteso). Si puntava a ribadire e alzare la cifra, o a trovare formule per colmare il gap (mancano regolarmente decine di miliardi ogni anno). Il comunicato sollecita un ruolo attivo, per l’aumento di questi fondi, in particolare alle istituzioni finanziarie per lo sviluppo e alle banche multilaterali.
Leggi qui la sintesi del documento finale del G20 Energia e Clima