Michelle Oyen, bioingegnere dell’Università di Cambridge, indaga in laboratorio le potenzialità della biomimesi. “Non dobbiamo copiare la natura ma farci ispirare”
(Rinnovabili.it) – L’alternativa a cemento e acciaio? Il guscio d’uovo, le conchiglie, la tela di ragno, ma “filtrati” dalla biomimesi. Materiali che per molti appartengono a domini diversi – invenzioni dell’uomo i primi, meraviglie della natura i secondi -, stanno sullo stesso piano agli occhi degli ingegneri che indagano le potenzialità dell’imitare la natura. Il punto in comune è pur sempre una tecnologia. Quella alla base di cemento e acciaio la padroneggiamo. Ma le altre sono migliori delle nostre sotto tanti punti di vista: più efficienti, più sostenibili, meno dispendiose.
Ma qual è la portata reale dell’impiego dei biomateriali? Michelle Oyen, bioingegnere dell’Università di Cambridge, è convinta che possano cambiare definitivamente il volto delle città del futuro. Ed è quello che prova a fare ogni giorno in laboratorio, scandagliando le “tecniche di costruzione” della natura, più smart di quelle umane, per rimpiazzare definitivamente materiali che sappiamo insostenibili. È questo l’argomento della conferenza che ha tenuto ieri al Cambridge Science Festival dal titolo “Materiali biomimetici: ripensare come costruiamo le cose”.
I vantaggi della biomimesi
Uno dei motivi per cui sarebbe bene che iniziassimo a prendere spunto dalla natura è l’efficienza del modo di produzione. Siamo certamente in grado di produrre materiali sofisticati o di migliorarli tecnologicamente, ma di norma lo facciamo aumentando l’energia coinvolta nel processo. Questo ha delle conseguenze rilevanti, che non possiamo ignorare se pensiamo all’intero ciclo di vita del prodotto. Il calcestruzzo ha una quantità di pregi, ma l’industria del cemento è responsabile del 5% delle emissioni globali di CO2.
Lavorare sulla biomimesi, allora, significa prima di tutto sviluppare dei materiali che possano essere prodotti in condizioni quanto più simili a quelle ambientali, dunque con il più basso apporto di energia dall’esterno possibile. L’esempio del guscio dell’uovo chiarisce subito di cosa si sta parlando. “Prendiamo le galline – ragiona Oyen – Loro creano un guscio da zero in 18 ore. È spesso quasi un millimetro, al 95% ceramica, e i suoi componenti organici lo rendono particolarmente duro. L’intero processo si svolge in un periodo di tempo estremamente breve, con una pressione identica a quella ambientale e una temperatura, quella del corpo della gallina, appena superiore a quella esterna”. La ceramica creata dall’uomo, invece, viene prodotta a temperature di migliaia di gradi. E dura meno di quella delle galline.
In modo simile, continua Oyen, dovremmo imparare dalla natura per produrre materiali compositi. Unire più materiali permette di sfruttare in modo combinato le loro caratteristiche: è il motivo, banalmente, per cui utilizziamo il cemento armato. Anche in questo caso la biomimesi è un passo avanti. I gusci d’uovo sono più resistenti della ceramica grazie alla loro membrana di collagene. La tela del ragno è più resistente dell’acciaio ma conserva flessibilità, e sfruttando semplicemente la quantità di acqua incorporata nella tela.
Il futuro della biomimesi in architettura
La strada da seguire, secondo Oyen, non è quella di copiare la natura in modo pedissequo. Più che imitarla, suggerisce, dobbiamo farci ispirare. Le ragnatele sono ottimizzate per essere fibre: difficile pensare di poterle replicare in laboratorio e ottenere una struttura tridimensionale di pari qualità e caratteristiche. Quanto è futuristico uno scenario in cui acciaio e cemento sono rimpiazzati da biomateriali? “Negli ultimi 10 anni – risponde Oyen – abbiamo continuato a studiare le caratteristiche di molti materiali naturali. Probabilmente avremo bisogno ancora di qualche anno, e poi forse nel prossimo decennio saremo in grado di applicare ciò che stiamo apprendendo alla creazione di nuovi materiali”.
Nel frattempo qualcuno prova con la scorciatoia. Una delle strade che vengono percorse in alternativa alla biomimesi è quella della modificazione genetica che, ovviamente, va presa con tutte le cautele del caso. Il dipartimento di Architettura dell’Università di Cambridge ha già iniziato con i primi tentativi. L’obiettivo è ottenere una sorta di super-legno Ogm. I ricercatori stanno studiando cosa genera proprietà come forza, rallentamento della marcescenza, durata, in modo da poter costruire edifici in legno più grandi. Insieme all’Università di Chicago puntano a realizzare grattacieli di legno da record che possano arrivare anche a 90 o 100 piani di altezza.