Il processo riguarda circa 1,3 mln di t di acqua radioattiva di Fukushima
(Rinnovabili.it) – L’acqua di Fukushima può essere rilasciata nell’oceano. Il 22 luglio è arrivato anche il parere definitivo dell’Autorità per la regolazione del nucleare giapponese, dopo quello provvisorio annunciato a maggio 2021. Il piano della Tepco, il gestore dell’impianto di Dai-Chi dove è avvenuto il disastro nel 2011, dà sufficienti garanzie per la salute umana e per l’ambiente.
Era l’ultimo passaggio burocratico a livello nazionale, ma non l’ultimo scoglio da superare prima di mettere in funzione il piano. La Tepco dovrà infatti ottenere l’ok anche dalla prefettura di Fukushima e dalle città di Okuma e Futaba, che sono direttamente interessate dal processo di rilascio in mare dell’acqua di Fukushima. Se le autorità cittadine non si metteranno di traverso, i lavori inizieranno nella primavera del 2023.
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Il rilascio nell’oceano Pacifico dell’acqua usata per raffreddare i reattori fusi è l’opzione scelta dalla Tepco per gestire l’enorme quantità di liquido radioattivo accumulato nel corso di 11 anni. Si tratta di circa 1,3 milioni di tonnellate che, al momento, sono stoccate in cisterne nei pressi della centrale di Fukushima. Lo spazio, però, si sta esaurendo in fretta.
Per risolvere uno dei dossier più spinosi del procedimento di decommissioning dell’impianto nucleare, il gestore ha messo a punto un procedimento chiamato ALPS per decontaminare l’acqua radioattiva, in grado di eliminare tutti gli elementi radioattivi presenti salvo il trizio, un isotopo dell’idrogeno. Prima di sversarla nell’oceano tramite un tunnel sottomarino che sbuca a circa 1 km dalla costa, il liquido verrà ulteriormente diluito e la concentrazione di trizio sarà inferiore ai limiti di legge vigenti in Giappone.
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L’intero processo sarà monitorato dall’AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che ha già approvato il piano di Tepco. Riuscendo a portare a bordo la Corea del Sud, inizialmente tra i paesi più contrari per il timore che il rilascio possa danneggiare gli ecosistemi marini e creare problemi reputazionali a certe industrie nazionali, come quella ittica. Resta invece fermamente contraria la Cina, che continua ad accusare Tokyo di “atteggiamenti irresponsabili”.