Il fracking su terre federali pesa per il 10% dei permessi di estrazione totali
(Rinnovabili.it) – La guerra di Biden al fracking rischia di risolversi in un buco nell’acqua. Il nuovo presidente americano, in campagna elettorale, aveva promesso di mettere al bando le operazioni di fratturazione idraulica sui terreni federali. Ma l’industria dello shale non è rimasta ad aspettare l’esito delle elezioni e l’arrivo del nuovo inquilino della Casa Bianca ed è corsa ai ripari.
Chi ha potuto, si è accaparrato tutti i permessi possibili. Chi invece non aveva abbastanza disponibilità finanziaria è rimasto alla finestra. In buona sostanza, ad oggi alcune delle maggiori compagnie attive nelle trivellazioni onshore negli Stati Uniti hanno in tasca concessioni su concessioni. Già vidimate dalle agenzie federali. Le aziende più piccole invece son rimaste al palo.
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Si tratta nello specifico di Devon, EOG, ExxonMobil, Occidental Petroleum, ConocoPhillips e Mewbourne Oil Company. Tutte decise a sfruttare le concessioni acquisite nonostante il cambio di direzione della Casa Bianca. In buona sostanza: Biden potrebbe metterci degli anni a rendere effettivo un bando del fracking sui terreni federali.
L’agenda climatica del presidente ne potrebbe risentire non poco. Infatti, sulle terre federali insiste circa il 10% della produzione di idrocarburi del paese. Ma questa fetta è responsabile per circa il 25% delle emissioni di gas serra degli Stati Uniti. Era un boccone ghiotto per Biden, che con un colpo di spugna sulla fratturazione idraulica avrebbe sì frenato l’industria domestica dello shale, ma anche accelerato il raggiungimento degli obiettivi climatici. Un fattore cruciale se, come ha promesso, il neo presidente fisserà al 2050 l’orizzonte per centrale la neutralità climatica.
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Lo scorso novembre, poco dopo la vittoria di Biden alle elezioni, era partito all’attacco l’American Petroleum Institute (API), la più grande associazione di categoria per l’industria del petrolio a stelle e strisce. Fissando come linea rossa da non oltrepassare proprio l’imposizione di una moratoria sulle nuove concessioni relative ai giacimenti onshore di gas di scisto. E sempre da quella data si era registrata un’impennata senza precedenti nel numero di richieste di concessioni da parte delle compagnie petrolifere al Bureau of land management americano, che gestisce i terreni federali e le loro risorse.