A marzo 2019 le fossili pesavano per il 77% della generazione di elettricità
(Rinnovabili.it) – Il Giappone ha promesso la neutralità climatica ma fatica ad abbandonare le fossili. Alla Dieta, il parlamento nipponico, è appena approdato il disegno di legge con la revisione triennale della politica energetica. E non porta con sé quello scatto di reni che gli osservatori si aspettavano dopo che il neo premier Suga ha messo il paese sui binari delle zero emissioni nette entro la metà del secolo.
Il provvedimento propone di fissare nuovi obiettivi per il mix elettrico. Le fossili, secondo la proposta, dovrebbero scendere a un generico meno del 50% entro il 2030. Non è un grosso cambiamento rispetto all’ultima versione della politica energetica, approvata nel 2018, dove carbone, petrolio e gas avrebbero dovuto rappresentare il 56% del mix.
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Ben pochi i dettagli sull’altra metà della generazione di elettricità da fonti non fossili. Perché se da un lato un ruolo crescente sarà svolto dalle rinnovabili come eolico e solare, dall’altro lato il governo continua a guardare al nucleare come l’opzione migliore. D’altronde, in un discorso a fine ottobre, Suga aveva esplicitamente detto che l’energia dell’atomo era uno dei due pilastri su cui intendeva costruire la neutralità climatica del Giappone. Per il momento manca un nuovo obiettivo per il nucleare.
Nel piano del 2018 avrebbe dovuto coprire nel 2030 il 20-22% del mix. Così come non è ancora stato proposto un obiettivo per le rinnovabili né per le diverse fonti fossili. Nel vecchio piano la quota riservata al carbone (il 26%) era addirittura più alta di quella delle fer (22-24%).
Anche da questi bilanciamenti si misurerà la reale ambizione climatica del governo. Che di strada da fare ne ha molta. A marzo 2019, infatti, il mix elettrico giapponese era ancora ben distante dagli obiettivi del prossimo decennio: le fossili erano al 77%, le rinnovabili al 17% e il nucleare al 6% (complice la chiusura della quasi totalità dei reattori dopo il disastro di Fukushima del 2011).
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