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Fioramonti: Ridisegnare economia e sviluppo in chiave sostenibile

Non c’è economia senza ecologia. Un legame inscindibile che è il presupposto per ridisegnare lo sviluppo anche alla luce degli Obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. I veri fondamenti di una società sono il capitale sociale, il capitale umano e il capitale naturale: l’innovazione tecnologica è in grado di migliorarli promuovendo un nuovo modello di produzione e di consumo che si traduca in un’economia davvero circolare. Ne parliamo con Lorenzo Fioramonti, economista e deputato

fioramonti economia sviluppo sostenibile

di Isabella Ceccarini 

La crisi che stiamo vivendo ha evidenziato la necessità di un nuovo modello di sviluppo. La società dei consumi, come l’abbiamo conosciuta finora, è destinata a cambiare, se non a scomparire. Quanto è forte, secondo Lei, la correlazione tra ambiente ed economia? La sostenibilità è la chiave giusta per ridisegnare lo sviluppo?

La connessione tra ambiente ed economia è fondamentale. La radice del termine è proprio quella, no? Eco (dal greco Oikos), che significa la casa, il contesto e che è la radice sia del termine economia che del termine ecologia, non c’è l’una senza l’altra. E quindi è fondamentale riunire le due cose. Per troppo tempo noi abbiamo pensato che si sarebbe potuta promuovere la protezione dell’ambiente in un sistema economico disegnato per distruggerlo. Evidentemente questo non è accaduto, quindi dobbiamo assolutamente andare alla radice del problema e cambiare le regole economiche, cambiare il modello economico.

Inserire la sostenibilità in tutto, non soltanto nelle politiche ambientali, ma proprio a partire dalle politiche economiche, a partire dal modo in cui si fa impresa. È da lì che nascono i problemi ed è da lì che possono emergere le soluzioni. Cominciando, per esempio, a internalizzare tutti i costi dell’attività produttiva, e non continuare a scaricarli sulla società o sull’ambiente, e creare così un nuovo modello di economia, che sia davvero in grado di produrre non tanto crescita del PIL, quanto crescita di benessere. Le due cose sono molto, ma molto diverse.

L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite considera insostenibile l’attuale modello di sviluppo e richiama tutti i Paesi e le diverse componenti della società ad avviare un cambiamento. Lo ritiene concretamente realizzabile?

L’Agenda 2030 è non soltanto realizzabile, ma indispensabile. Anzi, direi che per molti aspetti è addirittura poco ambiziosa. Per esempio, uno degli obiettivi dello sviluppo sostenibile (il numero 8) continua ad essere quello di garantire una crescita economica sostenuta in tutti i Paesi, soprattutto in quelli meno sviluppati. Questo è un errore di fondo, perché non sottolinea la contraddizione concettuale del nostro modello di crescita. Il paradigma attuale non è compatibile con l’ambiente e con il benessere delle persone. Quindi dobbiamo cambiarlo radicalmente. L’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile non va abbastanza a fondo.

Non soltanto è indispensabile realizzarla, ma è indispensabile forse anche andare oltre e proporre un nuovo modello di crescita, che sia alla base del vero benessere umano, il nostro benessere personale e psico-fisico (messo così a dura prova anche dalla pandemia) e il benessere del pianeta. E le due cose sono inscindibili. Questo si può fare, appunto, creando le condizioni (fiscali, economiche, politiche) per promuovere un nuovo modello di produzione, di consumo, un’economia davvero circolare. Incentivare i modelli produttivi che vanno in questa direzione e disincentivare al massimo – e il più velocemente possibile – quelli che invece vanno nella direzione opposta.

Un nuovo ordine economico che metta le persone al centro dovrebbe coniugare il capitale umano con quello sociale e naturale. Il capitale finanziario, che finora è stato ritenuto parte integrante della crescita, potrebbe acquisire una dimensione etica?

Se il capitalismo vuole sopravvivere, deve riconoscere l’errore di fondo che ha fatto, soprattutto negli ultimi decenni. E cioè quello di aver sbagliato la forma di capitale sulla quale costruire il suo modello di crescita. Per anni abbiamo ragionato sul capitale economico, il quale poi è diventato sempre di più un capitale finanziario, mentre abbiamo dimenticato quelli che sono i veri fondamenti di una società: il capitale sociale, il capitale umano e il capitale naturale. Senza conoscenza non c’è innovazione, non c’è sviluppo. Senza le relazioni (quindi la fiducia interpersonale, la coesione sociale, la capacità di lavorare insieme in maniera coordinata e collaborativa) non c’è economia.

Lo stiamo scoprendo sempre di più: infatti, le società più disuguali sono anche quelle che hanno grandissime difficoltà in questi anni a crescere, a progredire e anche, per esempio, a contenere gli effetti distruttivi della pandemia. A partire dall’America, dal Brasile, per arrivare alla Russia o all’Inghilterra, il paese più diseguale d’Europa che è anche quello che sta avendo il peggior impatto nella lotta contro il Covid.

E, ultimo ma non ultimo, il capitale naturale, cioè quello che il pianeta ci mette a disposizione e che è fondamento essenziale di qualunque forma di attività economica, mentre noi abbiamo dimenticato che senza le risorse naturali non potremmo fare nulla. Abbiamo considerato queste risorse naturali completamente a nostra disposizione, come se fossero infinite e come se non avessero alcun valore se non sfruttate, mentre le risorse naturali hanno valore di per sé. I servizi che gli ecosistemi rendono al nostro sistema produttivo – dall’impollinazione alla pioggia, dai processi di costituzione del valore della terra alla produzione di energia – sono essenziali per creare qualunque tipo di benessere, anche economico. Quindi, queste sono le vere forme di capitale che un capitalismo intelligente dovrebbe sostenere, non il capitale economico o industriale, di asset produttivi o, ancora peggio, il capitale finanziario, basato su questa cosa fasulla e strana che chiamiamo denaro.

Se noi riuscissimo a ribaltare questo, il capitale economico-finanziario, invece di essere qualcosa che depriva il capitale sociale, annichilisce il capitale naturale e che sottrae ricchezza al capitale umano, diventerebbe una forma di promozione di questi ultimi. Quando questo accadrà, allora sarà davvero una forma di capitale etico. Ma non prendiamoci in giro: semplicemente “dare una spolverata” di etica morale a processi di produzione industriale o di speculazione finanziaria che portano necessariamente alla distruzione delle altre forme di capitale, non è un modo per fare passi in avanti. Anzi, rischia di essere una strategia per ritardare il vero cambiamento. L’unico cambiamento etico e morale possibile, è quello di dare un ruolo di priorità alle altre forme di capitale, e mettere il capitale industriale e il capitale finanziario completamente a servizio di queste.

Secondo il DESI-Digital Economy and Society Index 2020, l’Italia è in coda tra i paesi europei per digitalizzazione delle imprese, uso dei servizi pubblici digitali, formazione del capitale umano e competenze digitali. L’innovazione tecnologica, che è presupposto di sviluppo ed elemento determinante per la ripresa, può essere sostenibile?

L’innovazione tecnologica è sempre di più sostenibile, quando viene realizzata con la visione di un nuovo capitalismo in mente, un modello di sviluppo che sia davvero in grado di mettere al centro il capitale sociale, il capitale umano e il capitale naturale. Noi vediamo sempre di più innovazioni che emergono in questi anni che puntano sempre di più all’ottimizzazione dei consumi, invece che alla loro massimizzazione. Pensiamo ad esempio alla cosiddetta “sharing economy”, quella vera, quella ad esempio che porta alla condivisione, che ci permette l’accesso a informazioni anche in forma gratuita, come avviene sempre di più attraverso le enciclopedie online, al software libero, un’innovazione che permette a tanti milioni di persone di accedere a informazioni condivise senza dover pagare le royalties a qualche miliardario americano che produce i nostri programmi operativi e le applicazioni con cui navighiamo in Internet.

Quindi, la vera innovazione tecnologica ha uno spirito, una potenzialità di miglioramento del capitale umano, del capitale sociale e anche potenzialmente del capitale naturale. Questa innovazione va guidata: è ovvio che se non lo è, a quel punto diventa un elemento potenzialmente distruttivo, perché può andare in qualunque direzione. Mentre un’innovazione guidata, condotta verso la valorizzazione delle forme di capitale di cui abbiamo parlato finora, porterà necessariamente a maggiore economia circolare, a un’ottimizzazione dei consumi e a una riduzione di quelli non necessari, a effetti positivi sulla qualità della vita delle persone, come per esempio possono avere le nuove tecnologie applicate allo smart working, alla mobilità intelligente e così via.

Ecco, noi dobbiamo avere un’innovazione che sia stimolata da una nuova visione di sviluppo. Se invece la visione che ci rimane è sempre quella del consumismo e della massimizzazione dei consumi, avremo un’innovazione che ci porta a fare questo, a una maggiore produzione di rifiuti, a un aumento di consumi non necessari, e rischiamo di sostituire ad esempio un ingorgo di macchine a motore combustibile con un ingorgo di auto a motore elettrico. Questa non è un’innovazione vera. L’innovazione è quella di una mobilità intelligente, di una riduzione degli spostamenti, dell’intermodalità. Non si tratta semplicemente di rimpiazzare una forma di consumo inquinante con una meno inquinante, se poi è altrettanto alienante.