I dazi doganali legati alle emissioni allo studio a Bruxelles sono una pratica “discriminatoria” che non rispetta il principio di equità, secondo cui chi ha più responsabilità nel cambiamento climatico, come i paesi industrializzati, deve fare di più e non scaricare il fardello sui paesi in via di sviluppo
Brasile, Sudafrica, India e Cina temono la riforma dell’ETS europeo
(Rinnovabili.it) – La carbon border tax è “discriminatoria” e solleva “profonda preoccupazione”. A dirlo sono i paesi BASIC e cioè Brasile, Sud Africa, India e Cina. Grandi paesi considerati in via di sviluppo (anche se la presenza di Pechino in questo gruppo è sempre più controversa) che provano a farsi portavoce dell’intera categoria. Tutti contro la riforma dell’ETS europeo e l’introduzione di quella che giudicano come una pratica commerciale ingiusta.
L’argomento sollevato dai 4 paesi all’incontro di livello ministeriale dell’8 aprile dedicato al cambiamento climatico fa perno sul principio di equità. Nel comunicato finale i 4 ministri dell’Ambiente danno ampio spazio al CBDR-RC, una sigla che si riferisce a “responsabilità comuni ma differenziate e rispettive capacità”. E’ così che in ambito ONU, e nel quadro della convenzione sui cambiamenti climatici, viene declinato il principio di equità. Vale a dire, i paesi sviluppati hanno contribuito prima e più degli altri alle cause antropiche del climate change, dunque devono impegnarsi di più per affrontare questo fenomeno.
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Alla riunione i ministri hanno “espresso grave preoccupazione per la proposta di introdurre barriere commerciali, come l’adeguamento unilaterale delle frontiere del carbonio, che sono discriminatorie e contrarie ai principi di equità e CBDR-RC”. L’Unione Europea non è citata direttamente ma il riferimento è chiaro. Non fosse altro perché la Cina da tempo prova a convincere Bruxelles con le buone e con le cattive a lasciar perdere l’idea di inserire una carbon border tax nella riforma dell’ETS europeo. Finora con risultati scarsi.
I grandi paesi industrializzati dell’UE sono tra i primi responsabili del cambiamento climatico, quindi non possono scaricare il peso della transizione ecologica su paesi terzi imponendo dei ‘dazi climatici’. Così ragionano Pechino, Nuova Delhi, Pretoria e Brasilia, che temono di subire danni consistenti al loro export e per di più in una fase di contrazione economica dovuta alla crisi scatenata dalla pandemia.
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L’Unione Europea sta lavorando per avere pronta a giugno la riforma dell’ETS europeo, inclusa la parte sul carbon border mechanism adjustment (CBAM) che è il nome tecnico della tassa sul carbonio alla dogana europea. Il vice presidente della Commissione con delega al clima, Frans Timmermans, di recente ha fatto sapere che per Bruxelles il CBAM è uno strumento essenziale da introdurre se la COP26 non sarà abbastanza ambiziosa. Qualche spiraglio per negoziare quindi rimane.