Rinnovabili

ENEA e INFN, su nucleare serve (rapidamente) il deposito nazionale dei rifiuti

Nucleare in Italia: ddl entro il 2024
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Le capacità scientifiche sul nucleare le abbiamo, inalterate nonostante il lungo stop, quelle industriali e di gestione anche. Sugli SMR non siamo in posizioni di vantaggio ma sugli AMR invece sì. Bene, insomma, tutto bene, ma c’è qualcosa da risolvere al più presto, subito, prima possibile: non abbiamo ancora un deposito nazionale. E non è un problema che si porrà solo quando saremo effettivamente tornati nel club dell’atomo, anzi: il problema lo abbiamo già ora e ogni giorno viene ingrossato dai residui radioattivi – a bassa attività ma attivi – prodotti ogni giorno dalla medicina nucleare e dalle applicazioni industriali, come ad esempio i residui delle radiografie alle saldature più delicate. Questo – reso in estrema sintesi – il messaggio che ENEA e INFN recapitano al Parlamento e al Governo partecipando al ciclo di audizioni in corso sull’ennesima revanche nucleare italiana, che stavolta ha come propellente speciale la sfida della decarbonizzazione e il costo abnorme dell’energia in Italia. Spoiler alert: probabilmente l’atomo non risolverà nessuno dei due problemi quantomeno per i prossimi due decenni, dopo si vedrà.

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“Consideriamo il nucleare una fonte affidabile e programmabile, non dipendente dalla stagione e dal clima, il candidato ideale per complementare produzione da rinnovabili, discontinue, e garantire una disponibilità di energia alle industrie costante e a basso costo”, dice Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento Nucleare (NUC) dell’ENEA,  alle commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera dove è in corso, l’indagine conoscitiva ‘sul ruolo dell’energia nucleare nella transizione energetica e nel processo di decarbonizzazione’. Per la ripresa della fonte nucleare in Italia “è importante e che la legge delega venga fatta velocemente così come i decreti applicativi” aggiunge, riecheggiando una preoccupazione diffusa tra le imprese.

È però necessario anche trovare rapidamente una sistemazione per i rifiuti radioattivi perché “stiamo finendo lo spazio”, avverte il ricercatore, invitando ad “accelerare sul deposito e trovare risorse per creare altri depositi in attesa di quello nazionale”.

Per il ritorno alla produzione di elettricità da nucleare “uno dei problemi da affrontare e che l’Italia dovrebbe già adesso affrontare è quello dello smaltimento delle scorie” visto che “non ha un deposito nazionale e le scorie nostre in questo momento non sono da reattore ma da ospedali”, per le quali “paghiamo uno Stato straniero, paghiamo miliardi, perché ce li tenga”.

Dunque “sarebbe importante avere da subito una politica per avere un deposito delle scorie, che serve comunque, ed essere pronti per entrare nel business”, si associa Antonio Zoccoli, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare- INFN. 

Per favorire il ritorno dell’Italia tra i Paesi nucleari la proposta di Zoccoli dell’INFN è di “detassare gli investimenti delle imprese che lavorano sul business nazionale, fissione o fusione, come già fatto negli Stati uniti e in Gran Bretagna”.

Siamo attrezzati per il ritorno atomico, sia a livello industriale che scientifico. “Grazie all’attività di ricerca e sviluppo e alle collaborazioni internazionali l’Italia è sicuramente dotata di una filiera industriale molto sviluppata”, spiega il direttore del Dipartimento Nucleare dell’ENEA , ma “nel settore dei reattori refrigerati ad acqua di piccola taglia, gli SMR- Small modular reactor sicuramente le nostre aziende partono con un certo gap, perché sono tecnologie già in operazione e si tratta solo di miniaturizzarle, quindi chi già le costruisce in grande taglia parte in vantaggio”.

Sui reattori AMR- Advanced modular reactor raffreddati a metallo liquido, invece, “l’industria italiana con il supporto dell’ENEA è a un livello forse superiore a quelle estere. C’è un potenziale enorme, perché la maggiore sostenibilità di questa tecnologia, una volta che si dimostrerà sul campo, porterà a un’esplosione del mercato, in cui l’Italia potrà giocare un ruolo da protagonista”. Certo, “rispetto ai costi quelli dei primi reattori di piccola taglia sicuramente potranno essere più alti, con costo per kiloWattora più elevato, ma quando se ne costruiranno più di uno, in serie, questo costo è destinato a diminuire”, segnala Dodaro.

Insomma, servirà il tempo necessario, mai sotto i 10-15 anni, con ogni probabilità anche qualcosa in più, però la strada è quella giusta. Fissione o fusione? Giorgia Meloni parla solo di fusione, ma le tecnologie attuali sono e restano quelle a fissione. “Riteniamo che la fissione sia l’unica che possa in modo complementare e sinergico garantire il rispetto degli obiettivi al 2030, mentre la fusione è purtroppo su una prospettiva troppo lunga”, dice il ricercatore ENEA. Un’idea di quanto sia molto, troppo, distante oggi non l’abbiano nemmeno. “Si avrà dopo il 2035, quando ITER si dimostrerà funzionante, solo allora si potranno fare valutazioni sulle date”, spiega Dodaro, “oggi si prevede di realizzare il primo dimostratore nella seconda metà del secolo”. Insomma, “ci vuole ancora troppo” perché la fusione possa dare una mano a rispondere alla domanda di energia italiana, sintetizza Dodaro. Possiamo però già iniziare a pensare a qualcosa che faciliti il percorso di quella che poeticamente si definisce ‘l’energia delle stelle’. Si potrebbe “per la fusione usare una regolamentazione più flessibile per installare un reattore”, suggerisce il presidente INFN Zoccoli, “negli Stati uniti e in Gran Bretagna le regole di sicurezza sono le stesse per installare un acceleratore di particelle, come abbiamo anche noi in istituti di ricerca o ospedali”, un modo “molto più semplice e attrattivo” per gli investimenti. Quando ve ne saranno, quando la fusione sarà realtà.   

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