L’arcipelago del Pacifico prova a richiamare i paesi con le economie più avanzate – e con più emissioni storiche – a fare la loro giusta parte nella lotta contro il climate change
Anche l’UE ha dichiarato emergenza climatica
(Rinnovabili.it) – La Terra è “già troppo calda e insicura”, quindi il cambiamento climatico ci mette “in pericolo adesso, non solo in futuro”. Con queste parole, il primo ministro di Vanuatu, Bob Loughman, il 27 maggio ha dichiarato ufficialmente lo stato di emergenza climatica. Il piccolo arcipelago melanesiano, 300mila abitanti e un territorio grande appena più esteso dell’Abruzzo, è uno dei paesi più esposti all’impatto del climate change.
Solo nell’ultimo decennio, ha ricordato il premier parlando di fronte parlamento a Port Vila, la capitale, due devastanti cicloni tropicali e una pesante fase di siccità hanno colpito Vanuatu. Oltre all’aumento inesorabile del livello dell’oceano Pacifico, una condanna a morte per le 83 isole la maggior parte delle quali ha un’altezza media di 90 cm dalla superficie del mare.
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La dichiarazione di emergenza climatica è una mossa più che altro simbolica, senza alcuna conseguenza pratica significativa. Al momento sono 23 i paesi che hanno compiuto questo passo (inclusa l’UE, contata come 1 unico paese), oltre a oltre 2000 governi o autorità subnazionali. Per Vanuatu, che insieme alle isole Fiji ha ospitato la Cop23 cercando di portare al centro dei negoziati i paesi più vulnerabili e le loro esigenze, l’emergenza climatica è un modo di richiamare i paesi più ricchi alle loro responsabilità.
“La responsabilità di Vanuatu è quella di spingere le nazioni responsabili ad adeguare l’azione alle dimensioni e all’urgenza della crisi“, ha dichiarato Loughman. “L’uso del termine emergenza è un modo per segnalare la necessità di andare oltre il modo tradizionale di fare riforme”.
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Ma è anche parte di una manovra con cui l’arcipelago, un tempo parte dei domini coloniali di Regno Unito e Francia, cerca di ottenere un’opinione legale da parte della Corte internazionale di giustizia sulla crisi climatica e sulla necessità di tutelare i paesi più esposti al climate change.
Questo nodo è uno dei punti più spinosi sul tavolo della diplomazia climatica. Le responsabilità dei grandi inquinatori verso le perdite e i danni (i cosiddetti loss & damages) subiti dai paesi più vulnerabili finora non hanno trovato spazio nel processo delle COP, se non con impegni generici e non vincolanti. I primi, infatti, temono contenziosi eterni e conti salatissimi. I secondi chiedono almeno contributi per misure di adattamento e mitigazione. Un aspetto richiamato da Loughman dichiarando l’emergenza climatica: a Vanuatu servono 1,2 miliardi di dollari entro la fine del decennio.