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L’embargo sul petrolio russo sarà graduale. Ma l’Ungheria minaccia il veto

Bruxelles sta limando i dettagli del nuovo giro di sanzioni alla Russia. L’addio al greggio di Mosca dovrebbe essere completo nel giro di 6-8 mesi. Ma Budapest si oppone a un bando completo

Embargo sul petrolio russo: pronto il 6° pacchetto di sanzioni UE
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Il 4 maggio la decisione sull’embargo sul petrolio russo

(Rinnovabili.it) – Passa la linea gradualista della Germania, ma resta l’incognita dell’Ungheria. Il sesto pacchetto di sanzioni UE alla Russia è quasi pronto e conterrà il petrolio. Lo ha confermato all’AFP una fonte europea ieri. L’embargo sul petrolio russo arriverà entro la fine dell’anno, senza la chiusura immediata dei rubinetti auspicata dal fronte dei “falchi”. Sempre che i paesi più riottosi – come Budapest – non si mettano di traverso e blocchino tutto.

Chi vuole l’embargo sul petrolio russo e chi no

Nei giorni scorsi il capo di gabinetto di Ursula von der Leyen ha incontrato uno a uno gli ambasciatori dei Ventisette per presentare le nuove misure, che taglieranno più del 25% dell’import totale di greggio dell’UE. Da quanto si apprende, il giro di vite sul greggio di Mosca dovrebbe avvenire durante un periodo di 6-8 mesi per dar tempo ai paesi UE di diversificare le proprie importazioni e rimpiazzare l’ammanco.

Era quello che chiedeva a gran voce la Germania (“l’embargo sul petrolio russo non deve penalizzare l’industria europea più delle casse di Putin”). “Stiamo chiedendo di considerare un periodo di riduzione”, ha confermato oggi al Financial Times Jörg Kukies, uno dei consiglieri più ascoltati dal cancelliere tedesco Olaf Scholz. “Vogliamo smettere di comprare il petrolio russo, ma abbiamo bisogno di un po’ di tempo per assicurarci di poter portare altre fonti di petrolio nel nostro paese”.

Ma anche la soluzione graduale messa a punto da Bruxelles – sarà discussa mercoledì – provoca mal di pancia ad altri paesi membri. Ci sarebbe un quartetto di paesi, che vede l’Italia insieme a Slovacchia e soprattutto Austria e Ungheria, perlomeno recalcitrante. Roma, com’è noto, continua a spingere per fissare un tetto al prezzo del greggio russo invece di introdurre un embargo. Intanto, i funzionari della Commissione temono che la prospettiva di portare a zero le importazioni di petrolio dalla Russia scateni il no di Budapest. D’altronde la decisione va presa all’unanimità e anche un inciampo del genere metterebbe l’embargo sul petrolio russo nel cassetto.

Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto su questo punto è stato chiarissimo e non ha lasciato molti margini per trovare un compromesso: l’85% del gas e il 65% del petrolio ungheresi provengono dalla Russia e non ci sarebbero “alternative che ci permettano di liberarci del petrolio e del gas russo nei prossimi due anni. Abbiamo fatto tutto il possibile per diversificare”.

Altre cancellerie europee hanno paura degli effetti sui prezzi del barile: il costo alla pompa è destinato a salire e avrà un impatto sull’industria e sui cittadini difficile da quantificare. Per la stessa ragione, gli Stati Uniti la settimana scorsa suggerivano prudenza: un’impennata dei prezzi farebbe recuperare a Mosca una parte non piccola dei proventi perduti a causa delle sanzioni europee.