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Come si muove l’UE per l’embargo del petrolio russo?

Nel 6° pacchetto di sanzioni UE ci sarà sicuramente il petrolio, assicurano fonti europee. Ma non è chiaro che forma avrà lo stop al greggio di Mosca. Spunta l’ipotesi di un approccio graduale e differenziato a seconda dei paesi

Domanda globale di petrolio: ai livelli pre-Covid già nel 2022
Foto di Schmucki da Pixabay

L’embargo del petrolio russo cancellerebbe una delle principali entrate di Mosca

(Rinnovabili.it) – Il nuovo pacchetto di sanzioni UE alla Russia conterrà sicuramente il petrolio. Ma che cosa prevederà di preciso il testo è ancora tutto da decidere. Bruxelles sta procedendo su molte strade contemporaneamente ma nessuna delle opzioni raccoglie il consenso necessario tra i Ventisette. L’embargo del petrolio russo cancellerebbe una delle principali entrate di Mosca, con cui supporta la guerra in Ucraina, ma secondo i paesi più scettici – Germania e Austria in testa – rischia di fare più male all’Europa che a Putin.

Le opzioni UE per l’embargo del petrolio russo

Bruxelles sta preparando una valutazione completa dell’impatto di un embargo del petrolio come parte di possibili ulteriori sanzioni, ha rivelato ieri una fonte europea a Reuters. Potrebbe essere la base su cui costruire un abbandono graduale, non immediato, del greggio russo. Una opzione ventilata da più parti negli ultimi giorni, che salva il principio (prima o poi si dirà addio al petrolio di Putin) ma scende a compromessi sui tempi (chi è più dipendente ha più tempo a disposizione).

Sarebbe un’Europa di nuovo in ordine sparso, ma pur sempre verso lo stesso obiettivo condiviso, senza veti di sorta. D’altronde questa soluzione ricalcherebbe il principio di gradualità che Berlino è già riuscita a far passare con le sanzioni sul carbone russo. E proprio ieri la ministra dell’Ambiente tedesca, Annalena Baerbock, ha ribadito che la Germania conta di dimezzare il suo import di greggio russo entro l’estate e di portarlo a zero entro fine anno. Sottotesto: più in fretta di così vorrebbe dire tirarsi la zappa sui piedi.

Un’altra strada esplorata da Bruxelles è quella di lavorare ad accordi con altri paesi fornitori per strappare forniture in tempi brevi e soprattutto a prezzi calmierati rispetto a quelli correnti di mercato. Una strategia per vincere le resistenze dei paesi UE più riluttanti e tamponare il problema principale: il greggio russo è quello che costa meno. L’Urals di Mosca il 12 aprile era a 69,5 dollari al barile contro i 100 del WTI e i 104,5 del Brent. Cambiare fornitori significa pagare molto di più.

Secondo un diplomatico europeo sentito dal Foglio, l’Europa potrebbe esplorare un’altra strada ancora: vietare alle compagnie di assicurazione di assicurare le petroliere per evitare che il greggio destinato all’UE sia rivenduto altrove (strategia che aveva avuto successo con l’Iran, sottolinea la fonte).

In ogni caso, confermano più fonti europee a Reuters, qualsiasi embargo del petrolio russo dovrebbe differenziare tra i diversi tipi di greggio e tra le modalità di trasporto (petroliera o oleodotto). Un segnale chiaro per capire se le sanzioni sono serie o quasi solo un pro forma sarà proprio il greggio russo Urals. Composto da un mix di oli estratti tra gli Urali, il Volga e quelli più leggeri della Siberia occidentale, è la qualità su cui sono calibrate per funzionare gran parte delle raffinerie europee. Sanzionarlo significa che l’UE fa sul serio. Altri segnali potrebbero venire dall’inclusione di oli combustibili pesante e gasolio sottovuoto (VGO) nel pacchetto. Quest’ultimo, in particolare, è necessario per il 10% del diesel europeo.