Quale sarà la posizione degli Stati Uniti su energia e clima nei prossimi 4 anni, un periodo cruciale durante il quale si deciderà una volta per tutte le riusciremo a tenere gli 1,5°C a portata di mano o se ci incammineremo verso una transizione rallentata?
Cosa cambierà su energia e clima dopo le elezioni USA 2024?
Il destino dell’Inflation Reduction Act di Biden. La posizione sull’Accordo di Parigi. Il ruolo delle fossili e degli investimenti nell’oil&gas, in patria e nel mondo. La traiettoria della competizione con la Cina sulle tecnologie abilitanti per la transizione ecologica e digitale, dalle auto elettriche al controllo delle filiere globali dei minerali critici. E i contorni della competizione, industriale e non solo, con l’Europa. Questi e molti altri temi sono al centro dell’agenda su energia e clima di Donald Trump e Kamala Harris, i due candidati alle elezioni USA 2024 che si terranno il prossimo 5 novembre.
Quale sarà la posizione degli Stati Uniti nei prossimi 4 anni, un periodo cruciale durante il quale si deciderà una volta per tutte le riusciremo a tenere gli 1,5°C a portata di mano o se ci incammineremo verso una transizione rallentata? Cosa ci possiamo aspettare dalla vittoria del candidato dei Repubblicani e da quella della leader dei Democratici subentrata a Biden nella corsa alla Casa Bianca?
Kamala Harris: guerra all’inflazione, con l’energia pulita
Per l’attuale vice-presidente, la crisi climatica è una “minaccia esistenziale”. L’ex procuratrice della California ha sostenuto il ritorno degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi (dopo l’uscita decisa da Trump al termine del suo mandato, nel 2020).
Le credenziali più “green” le ha forse conquistate con l’appoggio all’Inflation Reduction Act (IRA), la più grande legge di investimento in energia pulita e clima nella storia degli Stati Uniti, con un budget di circa 370 miliardi di dollari. E quello all’Infrastructure Investment and Jobs Act (IIJA) del 2021, una legge da 1.200 miliardi di dollari per modernizzare le infrastrutture e incentivare l’adozione di auto elettriche.
In campagna elettorale, ha promesso di proseguire lungo questa strada con nuovi investimenti in tecnologie pulite per la transizione. Anche tagliando la burocrazia e i tempi per quelle considerate più indispensabili nel breve termine. E investendo nel potenziamento della rete. Le parole d’ordine di Harris sulla politica energetica sono identiche a quelle di Trump: promettono energia meno costosa per gli americani. Harris lo vuole realizzare investendo in energie pulite, Trump riportando al centro le fonti fossili.
Le posizioni di Harris sull’energia e sul clima si sono “ammorbidite” negli anni. Da senatrice ha appoggiato il Green New Deal, il programma di transizione preparato dall’ala più radicale dei Democratici. Ed era a favore della messa al bando del fracking. Varcata la soglia della Casa Bianca ha limato le sue posizioni su alcuni temi, in alcuni casi cambiandole notevolmente. Come nel caso dello shale gas: ad agosto 2024 ha ribadito di non volere nessuno stop (un’ammiccata agli elettori del Pennsylvania).
Negli ultimi 4 anni ha approvato nuovi progetti di combustibili fossili, tra cui uno da 8 miliardi di dollari in Alaska settentrionale. Ha invece appoggiato le limitazioni imposte alle nuove licenze sui soli terreni federali.
Ma, in generale, Harris considera la posizione dominante degli USA nella produzione globale di fossili un asset a cui non rinunciare. Soprattutto per tenere bassi i prezzi per gli americani e avere risorse sufficienti per alimentare la transizione.
Donald Trump: guerra all’inflazione, con le fonti fossili
Donald Trump continua a ritenere che la scienza del clima e il ruolo dell’uomo nella crisi climatica non siano altro che complotti. La sua agenda appare dirompente, spesso perché viene comunicata in modo arrembante. Ma è poco più di un ritorno al passato.
Il tycoon promette di espandere e semplificare la produzione di combustibili fossili (come mezzo per abbattere l’inflazione), rivedere le iniziative di energia pulita di Biden come l’IRA e ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi (come fece nel 2020) e, forse, stavolta anche dall’Unfccc (in questo caso, gli USA non parteciperebbero più ai negoziati internazionali sul clima).
Fossili e smantellamento delle politiche dell’era Biden sono i due pilastri della sua posizione. Nulla di diverso da quanto espresso durante la campagna elettorale del 2016, all’epoca prendendosela con le politiche di Obama. A cambiare è principalmente la quantità di teorie del complotto con cui ha condito le sue posizioni. Ad esempio, Trump sostiene che l’elettrificazione del comparto navale sia impossibile perché i motori elettrici sarebbero troppo pensati e farebbero affondare le navi, o che l’eolico offshore causi una morìa di balene.
Secondo l’ex presidente, l’IRA comporta inutili oneri fiscali e ha promesso di congelare e dirottare i fondi che non sono ancora stati spesi se verrà eletto. Ha promesso di cancellare soprattutto gli incentivi alla mobilità elettrica (presentati come un attacco ai veicoli endotermici) e di passare la spugna sulle principali restrizioni ambientali approvate da Biden (incluse quelle sulle emissioni delle centrali elettriche e dei veicoli endotermici). Si tratta, in quest’ultimo caso, della riedizione del braccio di ferro intrapreso con l’Epa, l’agenzia USA per la protezione ambientale, nel 2016-2020.
Rispetto al 1° mandato, questa volta Trump potrebbe avere più margini per portare avanti la sua opera di repulisti. Sia dei regolamenti e delle politiche approvati in questi anni, sia del personale dell’amministrazione pubblica americana (uno dei pilastri dell’ormai famoso “Progetto 2025”, un’agenda preparata da think tank ultraconservatori e di estrema destra statunitensi e in gran parte adottata da Trump).