Un cubo traslucido energeticamente autosufficiente atterra sugli High Tatras. Il progetto di Atelier 8000 vince il concorso internazionale Kežmarská Chata realizzando un rifugio di cinque piani interamente passivo
(Rinnovabili.it) – Il rifugio di montagna non può prescindere dal contesto in cui è inserito. Senza una vallata da cui partire e una vetta da raggiungere non avrebbe quasi ragione di esistere. La baita è legata a doppio filo alla montagna che la condiziona in ogni suo aspetto: nella scelta dei materiali, nella posizione, nella vista che di essa si può godere e nello sfruttamento delle risorse disponibili.
Lo sanno bene Martin Krupauer e Jiříi Střítecký, i due progettisti di Atelier 8000, vincitori del recente concorso internazionale Kežmarská Chata per un nuovo eco rifugio che sorgerà sulla vetta più alta dei Carpazi, al confine tra la Cecoslovacchia e la Polonia.
Lo sanno, ma giocano d’antitesi, lasciando lontano dai riflettori qualsiasi rimando alla tradizionale tipologia del rifugio montano. Il frutto delle loro matite non saranno tetti spioventi, falde esagerate, confortevoli facciate in pietra o capriate lignee: semplicemente un cubo, traslucido ed appariscente, la forma geometricamente perfetta che nulla vuole spartire con la sinuosità della natura che lo circonda.
Che sia un cubo di ghiaccio, o l’idea di un frammento staccatosi dall’imponente catena montuosa degli High Tatras alle sue spalle, o un giocattolo abbandonato sulla neve, il progetto vince il concorso e si prepara a diventare il primo eco rifugio completamente sostenibile della zona sciistica dei Carpazi.
E’ proprio la forma cubica, asettica e traslucida, che paradossalmente consente all’edificio di ottenere la più completa ecosostenibilità. Una punta del cubo si infila nel terreno conferendo al tutto una naturale rotazione che asseconda il massimo sfruttamento della risorsa solare per l’autopropulsione di energia. Le facciate a sud e ad est, completamente ricoperte di pannelli fotovoltaici, in questo modo diventano perfettamente perpendicolari all’inclinazione che i raggi solari assumono nella stagione fredda, dove l’esigenza di energia è maggiore. Contemporaneamente l’edificio gode a 360 gradi della luce naturale per un numero superiore di ore al giorno, permettendo così una riduzione del consumo dell’illuminazione artificiale. La rotazione del cubo inoltre risponde perfettamente alle esigenze di visibilità che si richiedono ad un rifugio di montagna. Da qualsiasi percorso si giunga alla costruzione, tre facce dell’edificio saranno sempre visibili agli alpinisti in cerca di una sosta.
La pelle in alluminio, completamente lucida, sulla quale si alternano pannelli fotovoltaici e grandi vetrate, racchiude al suo interno un ambiente caldo e confortevole, caratterizzato da pannellature ed arredi in legno illuminati a giorno dalle ampie vetrate oblique che restituiscono la prospettiva accattivante di uno dei più suggestivi parchi dell’est Europa.
I disegni del progetto, che per ora rimane un concept, svelano un edificio completamente passivo articolato su cinque piani di cui uno interrato, destinato alle dotazioni impiantistiche. Il piano terra sarà completamente occupato dal ristorante e dagli ambienti di pertinenza mentre i tre piani superiori saranno riservati alle camere da letto ed agli ambienti comuni.
Fatta eccezione per la dotazione di pannelli fotovoltaici, sul cui sfruttamento è stato interamente basato lo studio architettonico, trattandosi di un concept che deve ancora affrontare le successive fasi progettuali, non sono ancora pervenuti dati sulle altre dotazioni impiantistiche e sulle tecniche di cantierizzazione. Tuttavia, considerando la passività di cui il progetto si fregia, è auspicabile che vengano intrapresi accorgimenti per il recupero della risorsa idrica e per una costruzione ecosostenibile.
Kežmarske Hut, questo sarà il suo nome, dal punto di vista funzionale, può considerarsi un progetto riuscito che fa del contrasto la sua carta vincente.
Non si preoccupa di rendere omaggio alla spettacolarità della natura che lo circonda. Se ne stacca, quasi a voler predominare su di essa, eppure la rispetta e la omaggia, regalandole un edificio che non produce emissioni nocive nel sottosuolo e nell’atmosfera, che si nutre della sola energia solare per sopravvivere e che verrà realizzato con materiali completamente riciclabili e smaltibili. La forma asettica, glaciale, traslucida, in un certo senso, ossequia il paesaggio sconvolgente in cui è inserito, rispecchiandone i tratti ed i contorni e schiudendosi in un ambiente interno palpitante ed accogliente.
Rimane una forte disarmonia con il contesto naturale, dissonanza che diventa quasi inaccettabile nei mesi estivi, con lo scioglimento delle nevi, quando l’ eco rifugio, il cubo in bilico in un mare di ghiaccio, come i suoi creatori l’hanno definito, diventa un cubo bianco atterrato su un prato verde.