Rinnovabili

Draghi al Parlamento con un bazooka verde sotto la giacca

Draghi al Parlamento con un bazooka verde sotto la giacca

“Il Rapporto vuole mantenere i valori sociali e vuole continuare nella decarbonizzazione, non segue la linea di chi dice ‘basta’”.  Se qualcuno da Mario Draghi si aspettava passi indietro sulla transizione energetica sarà rimasto deluso. “Ma come si fa a continuare e non diventare sempre più poveri?”, si chiede in audizione al Parlamento, “come se ne fa un vantaggio per l’Europa, che non è un produttore di gas? Dopo l’esperienza come quella con la Russia non vogliamo più dipendere da Paesi potenti, che poi usano l’arma del gas come strumento” di pressione.

Ecco che nella sala Koch di Palazzo Madama, affollata di deputati e senatori riuniti per ascoltarlo sul suo Rapporto sul futuro della competitività europea, ‘Super Mario’, pur senza dribblare critiche e criticità delle politiche ambientali UE, fa intravedere un bazooka verde sotto la giacca. 

“Dobbiamo sempre ricordarci che se vogliamo l’autonomia completa e la sovranità sul nostro approvvigionamento energetico alla fine la produzione di energia non può venire dal gas”, è la posizione di Draghi. Un bazooka che si tinge di verde, se andiamo con la memoria a ‘quella volta che Mario salvò l’euro e l’Europa’, come racconta ai più giovani chi visse quei momenti del 2015, quando l’allora presidente della BCE imbracciò il Quantitative Easing. “È una questione di tempi”, spiega, “certamente sono stati fatti degli errori nel fissare degli obiettivi sicuramente ambiziosi e nel non adeguare gli strumenti a quegli obiettivi”. Per citare un esempio concreto, un errore “è stato fatto nel fissare delle date entro le quali il motore a combustione doveva sparire ma non sono stati fissati gli obblighi per le strutture di ricarica per i veicoli elettrici”. Ciò detto, però, il Rapporto “dice che non bisogna rinunciare a questa linea di fondo ma che si deve essere consapevoli del fatto che non si sono allineati gli strumenti”. 

Allora è il caso di fare passi indietro? Rallentare? Niente affatto. Bisogna anzi accelerare sulla decarbonizzazione, ma facendo le cose che sono necessarie a mantenere degli obiettivi ovviamente realistici”, è la soluzione efficacemente semplice di Draghi.

La priorità resta quella di abbassare il prezzo delle bollette di famiglie e imprese, senza ripetere gli errori del passato, ma è anche “necessario pretendere una maggiore trasparenza dei mercati. È indispensabile evitare rischi di concentrazione e rafforzare il livello di vigilanza. Gran parte delle transazioni finanziarie legate al gas è concentrata in poche società finanziarie senza che vi siano su di esse forme di vigilanza paragonabili a quelle su altri intermediari finanziari”.

Il realismo innerva inevitabilmente le valutazioni dell’ex presidente del Consiglio e della BCE. Il beneficio dei più bassi costi operativi delle rinnovabili raggiungerà pienamente gli utenti finali solo tra molti anni”, rileva, e intanto “i cittadini ci stanno dicendo che sono stanchi di aspettare”. La situazione è tale che “la stessa decarbonizzazione è a rischio”. Nel frattempo l’Italia vive il pesante giogo dei prezzi dell’energia più alti in UE. 

Nel nostro Paese il problema dei prezzi all’ingrosso dell’energia, che in Europa sono due o tre volte quelli Usa, è “ancora più marcato in Italia, dove i prezzi dell’elettricità all’ingrosso nel 2024 sono stati in media superiori dell’87% rispetto a quelli francesi, del 70% rispetto a quelli spagnoli, e del 38% rispetto a quelli tedeschi”, ricorda Draghi. “Nei prezzi finali ai consumatori incide anche la tassazione, in Italia tra le più elevate di Europa”, segnala, “nel primo semestre del 2024, l’Italia risultava il secondo Paese europeo con il più alto livello di imposizione e prelievi non recuperabili per i consumatori elettrici non domestici”.

Costi dell’energia così alti “pongono le aziende, europee e italiane in particolare, in perenne svantaggio nei confronti dei concorrenti stranieri. È a rischio non solo la sopravvivenza di alcuni settori tradizionali, ma anche lo sviluppo di nuove tecnologie ad elevata crescita. Si pensi ad esempio all’elevato consumo necessario per i data center”.

“I prezzi all’ingrosso dell’elettricità dipendono dal mix di generazione ma anche da come si forma il prezzo”, ricorda Draghi, “in Europa, nel 2022, pur rappresentando il gas solo il 20% del mix di generazione elettrica, ha determinato il prezzo complessivo dell’elettricità per più del 60% del tempo, in Italia, per circa il 90% delle ore”. Dunque, “occorre certamente accelerare lo sviluppo di generazione pulita e investire estesamente nella flessibilità e nelle reti. Ma occorre anche disaccoppiare il prezzo dell’energia prodotta dalle rinnovabili e dal nucleare da quello dell’energia di fonte fossile”. Tema aperto in Italia, in particolare, ma “non possiamo unicamente aspettare le riforme a livello europeo”, avverte Super Mario. 

Intanto “senza aspettare una riforma europea, possiamo slegare la remunerazione rinnovabile da quella a gas, sia sui nuovi impianti sia su quelli esistenti, adottando più diffusamente certe tipologie contrattuali già vastamente impiegate in altri Paesi dell’Unione europea, si pensi soprattutto alla Svezia”, suggerisce, adottando più diffusamente i Contratti per differenza, i CFD, e incoraggiando e promuovendo i Power purchase agreement, i PPA.

Avanti sulle fonti pulite e su quelle alternative alle fossili, dunque, agendo anche sul permitting, bestia nera degli investitori. In Italia sono disponibili decine di GW di impianti rinnovabili in attesa di autorizzazione o di contrattualizzazione. È indispensabile semplificare e accelerare gli iter autorizzativi e avviare rapidamente gli strumenti di sviluppo”, segnala Draghi, “questo abiliterebbe nuova produzione a costi più bassi di quella a gas, che rappresenta ancora in Italia circa il 50% del mix elettrico, a fronte di meno del 15% in Spagna e di meno del 10% in Francia”. 

A livello europeo, “nel mercato del gas naturale è necessario esercitare il nostro potere di acquisto, sfruttando la nostra posizione di più grande consumatore al mondo di gas”, rivendica, “possiamo coordinare meglio la domanda di gas tra Paesi, ad esempio anche riempiendo gli stoccaggi con flessibilità in modo da evitare l’irrigidimento della domanda complessiva”.

In linea con le indicazioni del Rapporto, “la Commissione ha fatto proposte sostanziali per rafforzare la supervisione e le regole dei mercati energetici e finanziari”, ricorda Draghi, dunque “occorre sostenere l’azione della Commissione in quest’area ed è fondamentale una rapida attuazione dei provvedimenti. Anche per quanto riguarda il gas è necessaria una maggiore trasparenza sui prezzi di acquisto alla fonte”.

Intanto è scoppiata – o quantomeno oltreatlantico è stata dichiarata, pur fra molti passi indietro – una guerra commerciale. Quelli che tradizionalmente erano nostri amici non solo sono più, le conseguenze possono essere pesanti, anche molto pesanti su alcuni settori.  “L’Europa è più vulnerabile di tutti gli altri, perché traiamo il 50% del nostro prodotto dal commercio estero, gli Stati Uniti solo il 26%, la Cina solo il 32%”, avverte Draghi, “quindi se gli altri mettono dei dazi e noi rispondiamo alla fine fondamentalmente creiamo anche un danno a noi stessi, perché di fronte a una risposta degli altri siamo più vulnerabili, perché gli altri ci colpiscono più di quanto noi possiamo fare a loro”. E allora che cosa si fa? “Si accettano passivamente la concorrenza sleale o le azioni di protezionismo?”, si chiede criticamente Super Mario. 

Il suo rapporto, spiega, che era orientato sulla competitività “è diventato un rapporto sulla politica industriale, e in particolare individua diversi casi. Il primo riguarda quando la tecnologia è ormai persa, anche grazie alla concorrenza sleale”. Un esempio, “prendete il caso dei pannelli solari”, suggerisce, arrivati “a questo punto non conviene neanche indicarli come obiettivo della politica industriale. Lasciamo che il cittadino cinese paghi le tasse per sussidiare la vendita dei pannelli solari a noi”, è la sibillina valutazione dell’ex presidente BCE. 

“Ci sono settori che sono molto importanti nelle economie europee, in questi casi quello che vogliamo tenere sono i posti di lavoro”, quindi “la concorrenza in quel caso è diversa”, perché lì “non siamo particolarmente interessati alla tecnologia ma ai posti di lavoro” e “in quel caso non è una questione di proteggere, ma semmai incoraggiare, gli investimenti diretti di quelli che sono più bravi a tenere e proteggere o aumentare i posti di lavoro”.

In altri casi invece “siamo interessati alla tecnologia e vogliamo proteggere questa tecnologia dalla concorrenza sleale, che si basi sui dazi, o sui sussidi ma anche su una artificiosa compressione della domanda interna con dei salari deliberatamente bassi e con probabilmente una protezione sociale diversa e con requisiti di qualità diversi. Come nel caso della tecnologia relativa alle batterie e le ricariche. Notate che l’Europa è un leader mondiale per l’innovazione nelle tecnologie pulite e verdi e poi ci sono delle piccole industrie che sono altamente innovative in alcuni campi come quelli relativi al clima”, conclude Draghi, suggerendo che a salvare l’UE potrà essere, almeno in parte, un bazooka sempre più verde.

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