Lo Stato non può aggirare l'intesa con le Regioni nelle materie di competenza concorrente. Così il tribunale ha dichiarato incostituzionale l’articolo 61, comma 3 del dl 5/2012, il cosiddetto ‘Semplifica Italia’
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 39 del 15 marzo ha dichiarato incostituzionale l’articolo 61, comma 3, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo, DL semplificazioni), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35. La Consulta ha accolto i ricorsi presentati dalle Regioni Veneto, Puglia e Toscana.
L’articolo dichiarato incostituzionale prevede che in caso di mancato raggiungimento dell’intesa richiesta con una o più Regioni per l’adozione di un atto amministrativo da parte dello Stato, il Consiglio dei Ministri, ove ricorrano gravi esigenze di tutela della sicurezza, della salute, dell’ambiente o dei beni culturali ovvero per evitare un grave danno all’Erario può, nel rispetto del principio di leale collaborazione, deliberare motivatamente l’atto medesimo, anche senza l’assenso delle Regioni interessate, nei sessanta giorni successivi alla scadenza del termine per la sua adozione da parte dell’organo competente. L’articolo riguarda anche le richieste di concessioni per ricerca e produzione di idrocarburi, che prevedono l’intesa della Regione interessata.
La giurisprudenza costituzionale avrebbe già in altre occasioni riconosciuto l’illegittimità di norme procedimentali che compromettono radicalmente l’esercizio delle attribuzioni regionali, a maggior ragione nei casi in cui la mancanza dell’intesa determini l’attivazione di poteri sostitutivi ( sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 383 e n. 339 del 2005). In particolare, la procedura non potrebbe assegnare valore decisivo alla volontà di una sola parte, dovendo favorirsi la reiterazione delle trattative al fine di giungere all’intesa (sentenza n. 33 del 2011).
Vi è anche la sentenza n. 179 del 2012, che ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 49, comma 3, lettera b), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, delle legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui prevedeva che, in caso di dissenso espresso in sede di conferenza di servizi da una Regione o da una Provincia autonoma, in una delle materie di propria competenza, ove non fosse raggiunta, entro il breve termine di trenta giorni, l’intesa, «il Consiglio dei ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate». La decisione risulta motivata, infatti, proprio in base alla violazione del principio di leale collaborazione insita nella conferita decisività del volere di una sola parte, quale conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell’intesa.
Lo Stato, ha stabilito la Consulta nella sentenza in oggetto, deve ottenere comunque l’intesa della Regione, a prescindere dal rispetto, da parte della Regione, dei 60 giorni previsti per esprimere il parere. La Corte, nella sua giurisprudenza, ha enucleato una serie di principi, cui vengono sottoposti i rapporti tra Stato e Regioni nelle materie concorrenti.
In primo luogo, nei casi in cui sia prescritta una intesa “in senso forte” tra Stato e Regioni – ad esempio, per l’esercizio unitario statale, in applicazione del principio di sussidiarietà, di funzioni attribuite alla competenza regionale – il mancato raggiungimento dell’accordo non legittima, di per sé, l’assunzione unilaterale di un provvedimento. Si tratta infatti di «atti a struttura necessariamente bilaterale», non sostituibili da una determinazione del solo Stato.
Non è sufficiente, in ogni caso, il formale riferimento alla necessaria osservanza del principio di leale collaborazione. Devono essere previste procedure di reiterazione delle trattative, con l’impiego di specifici strumenti di mediazione (ad esempio, la designazione di commissioni paritetiche o di soggetti “terzi”), ai quali possono aggiungersi ulteriori garanzie della bilateralità, come, ad esempio, la partecipazione della Regione alle fasi preparatorie del provvedimento statale.
L’assunzione unilaterale dell’atto non può pertanto essere prevista come «mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell’intesa», con sacrificio della sfera di competenza costituzionalmente attribuita alla Regione e violazione, per l’effetto, del principio di leale collaborazione (sentenza n. 179 del 2012). Il rilievo nazionale degli interessi menzionati nella norma censurata non è da solo sufficiente a rendere legittimo il superamento dei limiti alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni fissati dal riparto costituzionale delle competenze. Difatti, l’accentramento dell’esercizio di funzioni amministrative da parte dello Stato «può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenza n. 303 del 2003).
Il semplice decorso del tempo – previsto dalla norma impugnata come unica condizione per l’adozione unilaterale dell’atto ad opera dello Stato – per sua natura prescinde completamente dall’osservanza, da parte di Stato e Regioni, di comportamenti ispirati al principio di leale collaborazione. Quale che sia l’atteggiamento delle parti nei sessanta giorni successivi alla scadenza del termine per l’adozione dell’atto, si verifica, secondo la richiamata previsione legislativa statale, la concentrazione della potestà di decidere in capo ad una di esse. Ciò anche nell’ipotesi che proprio lo Stato abbia determinato, con l’inerzia o con altri comportamenti elusivi, l’inutile decorrenza del termine.
È singolare anche il fatto che la Consulta abbia ritenuto impossibile una interpretazione costituzionalmente orientata dalla norma.
Con questa sentenza si è confermato l’orientamento della giurisprudenza costituzionale che tende a rispettare la ripartizione costituzionale delle competenze statali e regionali, dando uno slancio al ruolo delle regioni messo a dura prova negli ultimi anni.