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Il nuovo volto della disinformazione sul clima? Si chiama ritardismo

Disinformazione sul clima: come funziona la strategia del “ritardismo”
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L’analisi copre gli ultimi 18 mesi di disinformazione sul clima online

(Rinnovabili.it) – Da qualche anno la disinformazione sul clima che viaggia online ha cambiato strategia, narrative e obiettivi. E probabilmente è anche più pericolosa di prima. Una volta c’erano i negazionisti, personaggi che affermavano che il climate change è un fenomeno assolutamente naturale e non ci deve spaventare. Adesso l’obiettivo è cambiato, provano a ritardare l’azione climatica invece di fermarla. E la loro cassetta degli attrezzi si è arricchita di nuove strategie comunicative, così come si è allargata l’audience che amplifica questi messaggi: cospirazionisti e comunità anti-scientifiche. Anche grazie all’onda lunga della stagione trumpiana e delle proteste legate al Covid-19.

“Discourses of delay” e “culture wars”

La panoramica la offre l’Institute for Strategic Dialogue (ISD) nel rapporto Deny, deceive, delay. Documenting and responding to climate disinformation at COP26 and beyond, forse lo studio più completo, accurato e documentato mai prodotto sullo stato della disinformazione sul clima e le sue tendenze. Analizza decine di migliaia di conversazioni online avvenute negli ultimi 18 mesi, dalla COP26 in avanti, su piattaforme social mainstream come Facebook e Twitter.

Il punto centrale è molto chiaro. I professionisti della disinformazione online usano quelli che l’ISD chiama “discourses of delay”, cioè argomenti che puntano a ritardare l’azione climatica. Come? Sfruttando quello spazio che separa il credere che il cambiamento climatico sia reale dall’essere convinti che agire sia non solo necessario ma anche urgente (come attesta tutta la scienza del clima, report IPCC in testa). Non negano il climate change, negano l’urgenza della risposta “screditando ogni proposta di mitigazione, adattamento e transizione”.

Il secondo tassello da tenere a mente è il panorama in cui si muove oggi la disinformazione sul clima. Con questa nuova strategia, l’azione climatica è un tema che viene trascinato sull’arena delle “culture wars”, cioè quei dibattiti iperpolarizzati che girano attorno a questioni fortemente identitarie e al centro dell’agone politico. Se leghi (anche in modo del tutto artefatto) il contrasto al cambiamento climatico con i lockdown o il Green pass, diventa più facile convincere una buona fetta di chi protesta contro la gestione statale della pandemia che il governo li vuole fregare anche con i tagli delle emissioni e le altre politiche climatiche. Il rapporto mette poi in luce che i “grandi diffusori” di disinformazione sul clima sono poche decine a livello globale, ma spesso capaci di intercettare le comunità cospirazioniste e anti-scientifiche.

Il nuovo volto della disinformazione sul clima

È uno scenario più complesso, dove le strade per screditare l’azione climatica sono molte più di prima, quindi le strategie neo-negazioniste (forse dovremmo chiamarle “ritardiste”) sono anche più flessibili e si sanno adattare a platee diverse, agganciandosi alle convinzioni e alle lamentele di ciascuna. L’ISD isola 4 grandi gruppi di narrative, che si possono presentare anche in combinazione o sovrapporsi parzialmente.

Soluzioni non trasformative – Questi argomenti mirano a convincere chi legge che non è necessario un cambiamento profondo e radicale per affrontare il clima che cambia. È il tipo di discorso che porta avanti una buona fetta dell’industria fossile, ma non solo. Nel mix rientrano l’ottimismo tecnologico (la soluzione sta in nuove tecnologie, nel frattempo continuiamo col business as usual), le fossili come “parte della soluzione” (spesso in qualità di ponte verso un futuro low-carbon), la credenza che politiche restrittive siano controproducenti e bisogni invece fornire solo incentivi.

Cambiare costa troppo – Argomenti che sottolineano (solo) le ricadute negative, probabili o meno. Ne fanno parte discorsi che legano le fossili allo sviluppo economico e al tenore di vita individuale, inclusi quelli che presentano petrolio&co come indispensabili per ridurre la povertà. Sono argomenti che parlano sia alla classe media – quella che ha più paura oggi di perdere lo status sociale ed economico conquistato – sia alle fasce più vulnerabili.

Catastrofismo – Nel ventaglio di discorsi che alimentano la disinformazione sul clima, l’ISD isola posizioni estreme che ritengono che l’azione climatica sia destinata certamente a fallire, oppure non possa raggiungere i suoi obiettivi senza stravolgimenti epocali dell’intera società umana. Ne fanno parte argomenti che viaggiano in ambienti anche molti distanti tra loro, come il conservatorismo religioso e quelli che ritengono che il cambiamento necessario sia impossibile all’interno di una società democratica.

Non è colpa nostra – Non siamo noi a dover agire per primi, ma qualcun altro: in questo fascio di discorsi domina il benaltrismo, o l’idea che l’azione climatica indebolisca chi la intraprende (e quindi siano altri paesi a dover iniziare). (lm)

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