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Cosa fanno davvero i social media contro la disinformazione climatica?

Greenpeace, Aavaz e Friends of the Earth stilano le pagelle per 5 dei social più in voga basandosi su una griglia di 27 criteri. Appena sufficienti Pinterest e Youtube, bocciati invece Facebook, TikTok e Twitter

fake news sul clima
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Il rapporto di 3 ong sulle policy contro le bufale sul clima

(Rinnovabili.it) – Mentre sulle fake news politiche i social network si mobilitano da tempo – anche se con risultati alquanto discutibili – sulla disinformazione climatica TikTok, Facebook, Twitter e le altre piattaforme sono ancora all’anno zero o quasi. Soprattutto sul fronte della trasparenza: quel poco che fanno, non lo pubblicizzano. Quindi è difficile monitorare i loro sforzi, e fare pressioni affinché prendano sul serio quella che l’IPCC, nei suoi ultimi report, ha definito “una minaccia per l’azione climatica” globale.

Sulla disinformazione climatica, il pubblico è all’oscuro

È l’accusa mossa ai principali social media da Greenpeace, Aavaz e Friends of the Earth nel recente rapporto In the Dark: How Social Media Companies’ Climate Disinformation Problem is Hidden from the Public. “C’è una grande mancanza di trasparenza, in quanto queste aziende nascondono molti dei dati sulla prevalenza della disinformazione e cattiva informazione digitale sul clima e qualsiasi misura interna adottata per affrontare la sua diffusione”, spiegano le 3 ong. Non tutte le piattaforme sono uguali. “Pinterest e YouTube hanno fatto passi notevoli per affrontare la disinformazione climatica, mentre Facebook, TikTok e Twitter sono indietro nei loro sforzi”.

Il rapporto stila la pagella per questi 5 social media in base a una griglia di valutazione composta da 27 voci. Tra i fattori considerati, l’esistenza di definizioni chiare di disinformazione climatica, la spiegazione pubblica di come funzionano i meccanismi di fact-checking adottati dalla piattaforma, quali conseguenze ci sono per i contenuti che violano i termini di servizio.

E ancora: l’algoritmo penalizza davvero i post che propugnano disinformazione climatica? O sono visibili tra i contenuti sponsorizzati? Gli utenti possono segnalare i post sospetti? Più in generale: c’è una company policy ufficiale, chiara e pubblica per togliere di mezzo le bufale sul clima? Presta attenzione solo alle informazioni false, oppure anche a quelle tendenziose, come i contenuti che gettano discredito sulla scienza del clima e l’attivismo ambientale?

Pinterest e Youtube raggiungono appena la sufficienza, con 14 punti a testa. Ben più indietro Facebook con 9 punti, seguito da TikTok (7 punti) e ultimo Twitter, il social appena acquisito da Elon Musk (5 punti).

“Pinterest e YouTube hanno adottato definizioni di disinformazione e cattiva informazione sul clima informate dagli esperti, mentre Facebook, TikTok e Twitter no”, scrivono gli autori del rapporto spiegando i risultati. Ma tutte le aziende hanno lacune vistose. Nessuno rivela “le policy complete per combattere la disinformazione climatica e la cattiva informazione”. Mancano report settimanali chiari e dettagli sulle conseguenze per chi viola, anche ripetutamente, gli standard.