Cosa potranno fare le Regioni dopo che il Decreto Aree Idonee vedrà la luce?
di Giorgia Barbieri e Francesco Corvace
Le cd. “aree idonee” per la transizione dai combustibili tradizionali alle fonti rinnovabili e per l’accelerazione degli obiettivi stabiliti a livello europeo sono un concetto di derivazione euro-unitaria. Oggi più che mai invocate a tutti i livelli (pubblico, privato, proponenti, valutatori) rappresentano il cuore di uno dei decreti attuativi più significativi e rilevanti del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 e successive modifiche ed integrazioni, che è la norma interposta della Direttiva RED II, oggi già superata dall’entrata in vigore della Direttiva RED III.
Si tratta, con ogni evidenza, di un concetto speculare a quello già introdotto nel 2010 dal legislatore italiano che, all’epoca dell’emanazione del DM 10 settembre 2010 (di recepimento dell’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 e smi), per la prima volta ha introdotto nel panorama ordinamentale la nozione di “aree non idonee” – riferita agli impianti FER – , con ciò riferendosi a quelle porzioni di territorio nelle quali “è elevata la probabilità di esito negativo dell’autorizzazione in sede di valutazione”.
La ratio sottesa a tale previsione era quella di offrire ai proponenti ed agli agenti pubblici valutatori uno strumento utile per il supporto alla decisione nel corso dell’iter autorizzativo, essendo stata di fatto esperita a monte una istruttoria vincolistica circa la valutazione dell’area di insediamento dell’impianto posto in valutazione. Alla stessa maniera, il legislatore del 2021 ha definito le aree idonee quelle “con un elevato potenziale atto ad ospitare l’installazione di impianti di produzione elettrica da fonte rinnovabile, anche all’eventuale ricorrere di determinate condizioni tecnico-localizzative”, ovvero porzioni di territorio nelle quali, essendo stata parimenti svolta un’istruttoria vincolistica a monte, sono più elevate le probabilità di conseguire un esito favorevole in sede ambientale e paesaggistica.
Le aree non idonee sono spesso state connotate da un’eccessiva attesa ed enfasi che rifletteva la scarsa fiducia nei confronti delle autonome capacità di valutazione da parte delle autorità competenti e di progettazione da parte dei progettisti/proponenti. Si può efficacemente rappresentare tale concetto con una metafora traslata nel mondo infantile: se ad un bambino in fase creativa con una matita ed un foglio bianco davanti si chiedesse di disegnare solo all’interno di un cerchio o di un rettangolo, probabilmente questo perderebbe il suo genuino slancio creativo; potrebbe addirittura indispettirsi se gli si dicesse che i suoi disegni sono belli o utili se e solo limitandosi ad unire i puntini che un insegnante, un professore o un genitore gli proponesse già pre-tracciati sul foglio. In quest’ultimo caso il suo estro e il suo spirito creativo sarebbero per lo più compromessi.
Con questo non si intende affermare che un processo insediativo industriale sia un processo puramente creativo con assoluta ed indisturbata libertà di collocazione sul territorio, senza dei parametri, vincoli ed un sistema di regole ben definite (di natura urbanistica o territoriale, ambientale, ecc.), ma, sicuramente, tra i due processi c’è una similitudine: assegnare le aree idonee ad un responsabile del procedimento autorizzativo con la sola finalità di predotarlo di una istruttoria pre-confezionata e consegnargli gli strumenti di ponderazione ad “esito guidato” tra i vari contrapposti interessi, significa svolgere in sua vece il lavoro di valutazione, a fronte di un compito che avrebbe già autonomamente potuto svolgere, ad esempio, nella propedeutica procedura di valutazione di impatto ambientale, disponendo già degli strumenti per addivenire alle medesime conclusioni o ad altre differenti, suffragate da adeguate motivazioni, piuttosto che nell’ambito dell’iter delineato dall’art. 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e smi (Codice dei beni culturali e del paesaggio) che, pure, lascia dei margini al valutatore per addivenire ad una declaratoria di diniego piuttosto che di accoglimento della relativa istanza.
Alla luce dell’attuale corposa ed anche consolidata giurisprudenza che sin dai primi anni del 2000 si sta oramai consolidando, finanche il ruolo del responsabile del procedimento unico autorizzativo codificato dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 non è manlevato dall’onere motivazionale che deve sorreggere la sua decisione amministrativa: ne consegue che residua anche in capo a colui che un tempo si limitava a collazionare gli atti (raccogliendo tutti i contributi emessi in seno alla conferenza dei servizi) l’onere di effettuare una ponderazione degli interessi coinvolti nell’ambito del complesso procedimento (specie nei casi di diniego del titolo), sulla scorta dei principi desumibili dalla legge generale sul procedimento amministrativo.
Ed allora, prendere atto del valore non assoluto delle aree idonee (così come di quelle non idonee, che non paiono scomparire dal quadro normativo/regolamentare a seguito dell’entrata in vigore delle prime) ma di semplice strumento di supporto alla decisione è il miglior viatico per rapportarsi alle stesse e, al contempo, affrontare l’iter istruttorio riconoscendone il loro valore “relativo” e discrezionale.
L’esperienza di oltre un decennio di applicazione della disciplina statale e regionale (per quelle Regioni che hanno recepito con proprio atto le direttive impartite dal Governo con il DM 10 settembre 2010), ha però dimostrato nella pratica applicativa la scarsa efficacia di tali indicazioni, laddove tra le porzioni di territorio identificate rientravano aree troppo estese o con contorni troppo ampi o indefiniti, nonostante l’espressa indicazione a riguardo [1]: in tali casi, dunque, il criterio della non idoneità non poteva assurgere a discrimine per la sorte del procedimento di valutazione, ma avrebbe dovuto rimanere sullo sfondo e l’esito dello specifico procedimento doveva basarsi su una pluralità di argomentazioni, tra le quali anche ma non solo la ricadenza del progettato impianto tra le aree individuate ai sensi della norma.
Analogo e speculare ragionamento dovrà necessariamente applicarsi per la individuazione delle aree idonee a valle dei criteri che il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica deciderà di codificare: non dovranno essere aree diffuse o troppo estese piuttosto che poco rintracciabili o circoscrivibili. Cionondimeno già il decreto legislativo n. 199/2021 e smi (le cui disposizioni transitorie, come noto, sono già applicabili ai procedimenti in corso) contempla talune aree piuttosto estese o, comunque, difficilmente circoscrivibili, quali, tanto per portare un esempio concreto, quelle di cui alla lettera c-ter) o c-quater) del comma 8 dell’art. 20, la cui precisa ed univoca individuazione in sede procedimentale è già foriera di diverse visioni e, talvolta, anche di contenziosi.
In tali casi, il lavoro che le Regioni sono chiamate a fare dovrà in primis indirizzarsi a definire gli ambiti di chiara riconoscibilità e contestualizzazione di tali aree vaste. Mantenere l’accezione generica o di individuazione per esclusione (per es. le aree agricole “non di pregio”) sortirebbe come probabile effetto quello di indebolirne la portata, atteso che l’obiettivo del legislatore pare essere proprio quello di garantire risultati certi della valutazione in tempi certi. Si correrebbe il rischio insomma non solo di frustrare la ratio tanto del legislatore statale quanto di quello comunitario, ma anche di mettere in pericolo in radice la possibilità di raggiungere gli ambiziosi traguardi assegnati da Bruxelles agli Stati membri.
[1] Da Allegato 3: “d) l’individuazione delle aree e dei siti non idonei non può riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, né tradursi nell’identificazione di fasce di rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate esigenze di tutela. La tutela di tali interessi è infatti salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed affidate, nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche, alle Regioni, agli enti locali ed alle autonomie funzionali all’uopo preposte, che sono tenute a garantirla all’interno del procedimento unico e della procedura di Valutazione dell’Impatto Ambientale nei casi previsti. L’individuazione delle aree e dei siti non idonei non deve, dunque, configurarsi come divieto preliminare, ma come atto di accelerazione e semplificazione dell’iter di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio, anche in termini di opportunità localizzative offerte dalle specifiche caratteristiche e vocazioni del territorio;”.
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