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Settembre amaro per il disboscamento dell’Amazzonia

Disboscamento dell’Amazzonia: a settembre cresce la deforestazione
Foto di Free-Photos da Pixabay

Il disboscamento dell’Amazzonia segna +2% rispetto al 2020

(Rinnovabili.it) – Dopo una breve, brevissima pausa, la deforestazione della più grande foresta pluviale al mondo torna a correre. A settembre il disboscamento dell’Amazzonia, nella sua parte brasiliana, è cresciuto del 2% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, quando il logging aveva toccato livelli molto alti.

Lo certificano i dati dell’Inpe, l’Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais che ha il compito di monitorare via satellite l’andamento della deforestazione e del degrado nel polmone verde del pianeta. L’agenzia da alcuni mesi è finita sotto il controllo diretto del governo di Jair Bolsonaro, come tutte gli altri enti istituzionali che hanno delle competenze su ambiente e clima.

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L’esecutivo non ha fatto carte false ma ha dato una lettura dei dati parziale e fuorviante, per alimentare la narrativa secondo cui Bolsonaro sta realmente mettendo mano al dossier. Così, se i dati Inpe dicono che a settembre la deforestazione si è mangiata 985 km2 di foresta pluviale, segnando un tondo +2%, il vicepresidente brasiliano Hamilton Mourao ha parlato soltanto dei numeri tra gennaio e luglio 2021. Quando effettivamente il disboscamento dell’Amazzonia è calato di circa il 5% anno su anno.

Peccato che se si aggiungono i numeri relativi ad agosto e settembre, questo calo appare piuttosto ridimensionato. Dall’inizio dell’anno il logging ha fatto sparire 7.011 km quadrati di foresta, un buco grande quasi 40 volte la città di Milano. Da cosa dipende questa nuova impennata? Dal logging legale, riporta l’Inpe. Sono infatti cresciute le aree dove il disboscamento dell’Amazzonia procede con perimetri regolari. Segno che la politica del governo Bolsonaro è tutto fuorché orientata alla tutela della foresta pluviale. Addirittura, le motoseghe autorizzate hanno lavorato ai ritmi più alti da 5 anni a questa parte.

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Un problema per il Brasile, che vuole arrivare alla COP26 di Glasgow con qualche credenziale verde da spendere. Soprattutto, un brutto segnale per il presidente che cerca di convincere paesi come Stati Uniti, Gran Bretagna e Norvegia a sborsare miliardi di dollari in cambio di più tutela dell’Amazzonia. Le trattative vanno avanti da mesi e la palla è nel campo del Brasile, che deve portare qualche risultato tangibile perché i suoi interlocutori aprano il portafoglio.

(lm)

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