I negoziati sono finiti il 14 dicembre senza un accordo finale. L’Africa voleva un insieme di regole vincolanti per tutti i paesi, molti stati occidentali non volevano obblighi. Se ne riparlerà nel 2026 al summit in Mongolia. Intanto, approvate azioni per oltre 12 miliardi di dollari a favore dei paesi più vulnerabili
Un “protocollo” (vincolante) o un “quadro” (non vincolante). Su questo punto è fallito il summit sulla desertificazione di Riad. La COP16 è finita sabato 14 dicembre, con un giorno di ritardo, con molto accordi settoriali ma senza la decisione più importante: l’ok a una nuova pagina di impegno globale collettivo contro la siccità.
Qual era l’obiettivo della COP16 sulla desertificazione?
La COP16 sulla desertificazione è la conferenza annuale organizzata dall’UNCCD, la Convenzione Onu per combattere la desertificazione, per affrontare le sfide legate alla desertificazione e alla siccità.
La Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta contro la desertificazione è una delle tre grandi iniziative globali emerse dal Summit della Terra di Rio del 1992, insieme alla Convenzione quadro sul cambiamento climatico (UNFCCC) e alla Convenzione sulla diversità biologica (CBD).
Come alla COP29 di Baku sul clima e la COP16 di Cali sulla biodiversità di quest’anno, anche alla COP16 di Riad l’obiettivo era decidere come finanziare la risposta all’impatto dei cambiamenti climatici.
Per la 1° volta, quest’anno, l’UNCCD ha stabilito il fabbisogno globale di risorse finanziarie: 2.600 miliardi di dollari l’anno entro il 2030, per invertire il degrado dei terreni e arginare la desertificazione. In altre parole, si tratta di investimenti per 1 miliardo di dollari al giorno tra il 2025 e il 2030.
Lo stallo sull’accordo finale
Alla COP16 di Riad, i paesi africani hanno tentato di far approvare un accordo che stabilisse obblighi vincolanti per tutti i paesi in tema di contrasto della siccità, dall’aumentare il livello di preparazione al mettere a punto piani di risposta.
I paesi occidentali, invece, volevano un quadro meno stringente, che desse indicazioni chiare e promuovesse un approccio coordinato a livello globale ma non di natura vincolante.
Nonostante i tentativi dell’ultimo minuto, i negoziati non sono arrivati a un testo di compromesso. I quasi 200 paesi membri dell’UNCCD hanno compiuto “progressi significativi nel gettare le basi per un futuro regime per la siccità globale”, recita una nota stampa dell’Onu. I negoziati riprenderanno l’anno prossimo alla COP17 in Mongolia, dove i paesi “intendono completare” l’accordo.
Gli accordi settoriali approvati
Anche senza un quadro globale per il contrasto della siccità, la COP16 ha mobilitato più di 12 miliardi di dollari per affrontare la desertificazione, il degrado del suolo e la siccità in tutto il mondo, soprattutto nei paesi più vulnerabili.
Il Comitato sulla Scienza e Tecnologia (CST), l’organo tecnico del summit, ha adottato otto decisioni su temi chiave come sistemi di uso sostenibile del suolo, funzionamento futuro della Science-Policy Interface (l’organo scientifico dell’UNCCD), tendenze e impatti dell’aridità, degradazione dei terreni agricoli, condivisione della conoscenza, trasferimento tecnologico e innovazione.
Tra gli accordi siglati a Riad spicca la creazione dell’Osservatorio Internazionale sulla Resilienza alla Siccità (IDRO). Annunciato dall’Arabia Saudita, sarà la prima piattaforma globale basata sull’intelligenza artificiale per valutare e migliorare la capacità dei paesi di affrontare siccità più severe.
A questa parte di monitoraggio e valutazione si affianca il Partenariato Globale di Riyadh sulla Resilienza alla Siccità, iniziativa per mobilitare fondi pubblici e privati a sostegno di 80 paesi gravemente colpiti dalla siccità. L’impegno iniziale è di 2,15 miliardi di dollari, con un totale di 12,15 miliardi raccolti.