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Deputati UE contro la fast fashion

Fast fashion nel mirino dell’Eurocamera: chiesta la riduzione dei consumi, il taglio delle emissioni e lo stop al greenwashing

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Via depositphotos.com

La Commissione Ambiente del Parlamento Europeo chiede obiettivi ambiziosi su fast fashion e filiera del tessile

(Rinnovabili.it) – I deputati della Commissione Ambiente del Parlamento Europeo hanno adottato nuove raccomandazioni volte a garantire che la filiera del tessile abbracci l’economia circolare, la sostenibilità e la giustizia sociale. Il documento licenziato sul finire della scorsa settimana chiede ai paesi membri e alla Commissione Europea di mettere finalmente un argine alla fast fashion. In pratica, sostengono gli eurodeputati, contrastare la sovrapproduzione e il consumo eccessivo di abbigliamento e calzature deve essere fatto adottando alcune misure precise. 

Come contrastare la fast fashion

Innanzitutto, una chiara definizione del termine fast fashion, che indichi “grandi volumi di capi a basso costo e di bassa qualità”. I consumatori dovrebbero essere meglio informati per poter fare scelte responsabili e sostenibili, dicono i deputati europei, anche attraverso l’introduzione di un “passaporto digitale dei prodotti” nella prossima revisione del regolamento sull’ecodesign.

Anche il tessile, poi, deve contribuire a contrastare il cambiamento climatico e ridurre l’utilizzo delle risorse chiave. Perciò, taglio delle emissioni e riduzione dei consumi di acqua ed energia elettrica devono far parte di una strategia più ampia per la sostenibilità del settore.

Allo stesso modo, deve essere una priorità la riduzione degli impatti dovuti agli inquinanti rilasciati nell’ambiente dal tessile. I deputati chiedono poi che la revisione della direttiva quadro sui rifiuti includa specifici obiettivi specifici per la prevenzione, la raccolta, il riutilizzo e il riciclo dei rifiuti tessili, nonché l’eliminazione graduale dello smaltimento in discarica. In più dovrebbe essere vietata la distruzione dei capi restituiti, scoraggiato il greenwashing dei brand nel mondo della moda e le pratiche commerciali sleali nella filiera. 
Tutti buoni propositi, di cui però occorrerà dettagliare le modalità di attuazione. Altrimenti, il rischio è che restino principi generali, agganciati ad obiettivi non vincolanti o a meccanismi di soft law, che non prevedono cioè sanzioni e interruzioni commerciali in caso di violazioni. Allo stesso modo, i metodi per accertare le violazioni andranno chiariti e messi in pratica, piuttosto che affidarsi all’autocertificazione delle aziende. Altrimenti, la fast fashion continuerà a imperversare con danni per l’ambiente e i lavoratori della filiera.