Il 40% del pianeta è già toccato dal degrado del suolo
(Rinnovabili.it) – E’ una “minaccia esistenziale” per l’umanità, al pari della crisi climatica e del collasso della biodiversità. Ma riceve meno attenzioni dalla politica. Ed è un argomento che non “scalda” troppo nemmeno l’opinione pubblica. Eppure ci tocca molto da vicino. Parliamo del degrado del suolo di origine antropica, un fenomeno che interessa il 40% del pianeta, colpisce direttamente 1 persona su 2, e costituisce una spada di Damocle per metà del pil globale, cioè 44.000 miliardi di dollari.
Il rimedio? Può essere solo ripristinare e conservare, spiega la seconda edizione del Global Land Outlook dell’UNCCD, la Convenzione ONU per combattere la desertificazione. Il rapporto propone tre scenari – business as usual, ripristino, ripristino e protezione – e ne analizza le conseguenze su scala globale.
Dove ci porta il degrado del suolo
Se l’umanità sceglie di non agire, entro la metà del secolo il degrado del suolo avrà deturpato nuovi territori grandi quanto l’intero Sudamerica, 16 milioni di chilometri quadrati. In questo scenario le conseguenze negative si moltiplicano e accelerano. All’assenza di contromisure si somma, infatti, la crescita della domanda di cibo, mangimi, fibre e bioenergia. La crisi climatica non può essere mitigata al meglio. Con altri impatti a catena.
L’UNCCD stima che il business as usual ci porta verso un calo persistente e a lungo termine della produttività vegetativa per il 12-14% dei terreni agricoli, dei pascoli e delle aree naturali. L’Africa subsahariana è la regione più colpita. Sul lato clima, non agire contro il degrado del suolo porta in atmosfera altre 69 Gt di CO2 entro il 2050, provenienti da carbonio organico del suolo (32 Gt), vegetazione (27 Gt), degrado/conversione delle torbiere ( 10 Gt).
Ripristinare i suoi del pianeta
Nel secondo scenario, il rapporto esplora le conseguenze di un’azione globale che si concentra esclusivamente sul ripristino dei suoli. L’UNCCD ipotizza che nei prossimi 30 anni avvenga il recupero di circa 50 milioni di chilometri quadrati, cioè il 35% della superficie terrestre globale. Tra le misure impiegate, l’agroforestazione, la gestione del pascolo e la rigenerazione naturale assistita. Si tratta di un impegno 5 volte maggiore rispetto alle promesse attuali fatte dagli Stati.
Se si alza l’ambizione a questo livello, entro il 2050 avremmo un aumento del 5-10% dei raccolti nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo. Soprattutto in Medio Oriente e Nord Africa, America Latina e Africa subsahariana. La capacità di ritenzione idrica del suolo aumenterebbe del 4% nei terreni coltivati a pioggia. E lo stoccaggio di carbono nei terreni aumenterebbe di 17 Gt nette tra il 2015 e il 2050. Lato negativo: non basta per invertire la perdita di biodiversità. Processo che comunque rallenterebbe in modo significativo.
Lo scenario migliore
Combinare le azioni di ripristino con livelli adeguati di protezione per la biodiversità, la regolamentazione delle acque, la conservazione del suolo e degli stock di carbonio e la fornitura di funzioni critiche dell’ecosistema permetterebbe non solo di bloccare il degrado del suolo, ma anche di ottenere vantaggi ulteriori.
Sempre nei prossimi 30 anni, secondo il rapporto dell’UNCCD si potrebbero ripristinare altri 4 mln di km2, più o meno l’estensione dell’Unione europea. Si rallenterebbe ancora di più la Perdita di biodiversità (del 30%). Lo stoccaggio di CO2 aumenterebbe fino a 83 Gt. Insieme alle emissioni evitate, la capacità di storage aggiuntiva salirebbe all’equivalente di 7 anni di emissioni ai ritmi attuali.
“L’agricoltura moderna ha alterato la faccia del pianeta più di qualsiasi altra attività umana”, spiega Ibrahim Thiaw, segretario esecutivo dell’UNCCD. “Dobbiamo ripensare urgentemente ai nostri sistemi alimentari globali, che sono responsabili dell’80% della deforestazione, del 70% dell’uso di acqua dolce e della principale causa di perdita di biodiversità terrestre”.