L’acciaio genera circa l’8% delle emissioni globali di gas serra
La Cop28 di Dubai, l’anno scorso, ha sdoganato ufficialmente le tecnologie per la cattura e il sequestro dell’anidride carbonica (CCS) come soluzioni per l’abbandono graduale dei combustibili fossili. Ma non è questa la soluzione migliore, almeno per quanto riguarda la decarbonizzazione dell’acciaio, uno dei settori cosiddetti hard-to-abate responsabile di circa l’8% dei gas serra antropici globali.
DRI e EAF viaggiano più spedite della CCS
Le tecnologie emergenti per produrre acciaio basate sull’elettrificazione si stanno diffondendo in fretta e, in prospettiva, sono una soluzione “più promettente” per le aziende. Il ricorso alla produzione basata sul Direct Reduced Iron (DRI), che può funzionare con idrogeno verde con emissioni molto basse, “sta accelerando”. Questa tecnologia, insieme ai forni elettrici ad arco (Electric Arc Furnace, EAF) – se alimentati con elettricità da fonti rinnovabili – permette alle acciaierie di tagliare in modo più consistente ed efficace le proprie emissioni. Lavorando alla fonte.
Lo sostiene un rapporto dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA) rilasciato oggi. La velocità di penetrazione di DRI e EAF è incomparabilmente più alta di quella delle tecnologie CCS. Che, al momento, non sono affidabili. Non esistono ancora impianti dotati di CCS su scala commerciale. E i pochi progetti pilota “non hanno dimostrato la fattibilità della tecnologia”, notano gli autori.
Su 13 progetti CCS su larga scala analizzati da IEEFA, 5 hanno avuto risultati sostanzialmente inferiori alle attese, 2 sono stati sospesi, 1 è stato messo fuori servizio e 2 non hanno fornito dati che consentissero di valutarne le prestazioni. In più, quasi il 75% della CO2 catturata veniva poi riutilizzata per il recupero potenziato del petrolio (Enhanced Oil Recovery), di fatto alimentando ulteriori emissioni di CO2.
Il futuro della decarbonizzazione dell’acciaio
Nonostante ciò, molti dei principali produttori di acciaio globali continuano a puntare sulla CCS e le riservano un ruolo di primo piano nei loro percorsi di decarbonizzazione dell’acciaio. Ma proprio per l’immaturità di questa tecnologia, prevedono di usarla in modo massiccio solo dopo il 2040, e non forniscono dettagli sufficienti per rendere credibili i loro percorsi.
Ci sono anche delle ragioni strutturali per cui applicare la CCS alla decarbonizzazione dell’acciaio è una soluzione spuntata. Gli altiforni a cui dovrebbe essere applicata generano diversi tipi di emissioni, non solo CO2. L’adeguamento di più sistemi CCS a questi impianti “comporterebbe notevoli costi aggiuntivi”, nota il rapporto. In più, non permettono di tagliare le emissioni di metano che derivano dall’estrazione di carbon coke, il combustibile necessario per alimentare gli altiforni.
“I piani dei principali produttori di acciaio per CCUS tendono a spostare l’implementazione su scala commerciale della tecnologia negli anni ’40 e mancano di dettagli. La tecnologia CCUS esiste da quasi 50 anni e ha accumulato una storia di significative performance subottimali”, conclude Simon Nicholas di IEEFA